Detroit guida saldamente la Eastern Conference (oddio, per quanto saldamente si possa guidare la conference più piatta di sempre, con la squadre che salgono e scendono anche di 2-3 posizioni con i risultati di una notte, e una differenza di 10 partite tra la posizione 1 e la 8, contro le 20 della Western Conference), mettendo in mostra un gioco scoppiettante, e soprattutto attuando il rilancio completo (e meritato) di un campione affascinante e sfortunato come Cwebb.
[b]Life is a rollercoaster[/b]
La carriera del fenomeno originario proprio della Motown era iniziata a Michigan, quando da membro dei Fab Five, passò alla storia per il famoso time out chiamato (senza averne diritto) negli ultimi secondi della finale NCAA, che costò ai suoi la sconfitta, e a Webber parecchie critiche. Entrato comunque nellNBA dalla porta principale, come prima scelta dei Magic, fu subito spedito nella Baia in cambio di Penny Hardway, che in Florida serviva da complemento di Shaq più di quanto non potesse fare il nostro.
Gli anni a Golden State sono stati ricchi di soddisfazioni personali, con una squadra intera appoggiata sulle sue spalle, mentre iniziava ad affacciarsi timidamente Latrell dove diavolo sei finito Sprewell (timidamente fino a un certo punto, visto che è salito agli onori della cronaca per aver tentato lo strangolamento del suo allenatore).
La situazione non decollava, e i Warriors decisero di ricostruire senza di lui, ormai in rotta con la società per il caso Sprewell. Fu spedito a Washington, dove prese parte al più colossale spreco di talento nella storia del basket moderno: la squadra aveva dietro Hot Rod Strickland (allepoca uno dei migliori PG in circolazione) e Chalbert Chaney, la grande promessa degli Hoosiers. Ma la parte impressionante era la front line: oltre al citato Webber cerano il suo compagno di merende a Michigan, Juwan Howard, allepoca ancora considerato una stella da ASG, e il suo compagno attuale, il sempre indecifrabile Rasheed Wallace. Ecco, con questa squadra di fenomeni, il risultato più brillante raggiunto è stato uno 0-3 al primo turno dei playoffs contro i Bulls di Sua Maestà.
Nonostante questo, Chris la prese piuttosto male quando, additato come principale colpevole delle scarse performance della squadra, fu mandato in esilio a Sacramento, non esattamente la città che il giocatore medio NBA sogna per le sue notti più brave.
Il destino però sa essere spiritoso, e allombra della Gas Station la stella di Webber esplose definitivamente, trasformandolo nel faro di una delle squadre più forti del primo lustro del 2000.
Dopo lesperimento pittoresco ma poco produttivo di White Chocolate Williams, la franchigia californiana poteva quindi esibire un roster siffatto: Bibby, Christie, Stojakovic, Webber e Divac in quintetto, e dalla panca Bobby Jackson, Gerald Wallace, Turkoglu e Brad Miller.
Il motivo per cui questa squadra non ha vinto un titolo? A parte la sfiga (come al solito, per queste questioni, chiedere a Horry, che si è trovato in mano in maniera del tutto fortuita la palla per pareggiare una serie che era già stata vinta dai Kings), e stato linfortunio occorso al ginocchio di Webber.
Esattamente lo stesso infortunio che due stagioni fa ha colpito Stoudamire, solo che il più attempato Webber non ne è uscito altrettanto bene: di un fenomeno che univa fondamentali da torta di mele della nonna ad unesplosività da cartone animato, è rimasto solo un giocatore che dimora stabilmente allangolo della lunetta. Certo, occupa il gomito come nessun altro giocatore attuale, potendo da lì metterla con competenza, oppure trovare con mani dolcissime il tagliante, però oltre quello non si va.
Uninnata pigrizia e un atteggiamento rinunciatario ne avevano sempre fatto un difensore sotto media, ma prima si salvava andando a rimbalzo e in stoppata in aiuto grazie a balzi prodigiosi e al suo istinto. Ora che non può più saltare, è una ferita aperta nel cuore della difesa, un mismatch sempre pronto ad accadere indipendentemente dal tipo di avversario.
Sacramento lha aspettato un anno (grazie anche alla contemporanea esplosione di Miller, che formava con Divac la coppia di lunghi più statica e atipica della lega, ma con capacità di creare gioco inimitate), ma al suo ritorno è stato chiaro che Cwebb non sarebbe mai più stato quello di prima. Non poteva più essere la stella della squadra, e se a questo aggiungiamo il calo di Zio Vlade dovuto alletà, e il calo di Peja dovuto agli infortuni e in generale ad un cattivo atteggiamento in campo, si capisce come i Kings siano passati in due stagioni da squadra ingiustamente derubata di un anello a ospedale ambulante di vecchie glorie del passato.
Da lì la ricerca di un nuovo acquirente per Chris, non facile da trovare visto il contrattone che il ragazzo si portava appresso. Alla fine la destinazione viene individuata in Philadelphia, disponibile a spendere e alla disperata ricerca di una star da affiancare al loro fenomenale quanto bizzoso e in accoppiabile go to guy. Falliti tutti gli esperimenti precedenti (Tim Thomas, Larry Hughes, Stack, Kukoc, VanHorn, Glen Robinson, ), i 76ers si sono giocati lultima carta prima di decidere di privarsi di Allen Iverson.
Dire che il rapporto non sia mai decollato non rende lidea del tonfo che si è sentito anche oltre oceano
A parte qualche isolata partita in cui le due stelle hanno brillato insieme portando i loro alla vittoria, nel complesso i due sono apparsi sempre su pagine diverse, e lennesimo fallimento ha spinto il management a smantellare la squadra e ricostruire.
Si è deciso così di tagliare Webber, che col portafoglio pieno e una certa voglia di rivalsa, si è rimesso sul mercato, per inseguire il famigerato anello che gli sfugge da oltre un decennio.
Tra i contendenti i soliti noti, SanAntonio, Miami, Dallas (?!), ma Chris dopo qualche esitazione ha risposto alla chiamata della sua città natale, provando a chiudere la carriera, e magari mettersi al dito largenteria, proprio dove tutto era cominciato.
[b]Non è tutto oro quello che luccica[/b]
A Detroit Webber è rifiorito. Nessuno gli chiede più di essere la stella che genera i raddoppi, vince le partite e ne mette 30 a sera. Nei Pistons lui è la quarta, spesso anche quinta opzione dellattacco. Però tocca tutti i palloni, e ha dato allattacco di Detroit una marcia in più.
Se la filosofia della squadra era sempre stata quella di un attacco bilanciato, con responsabilità distribuite e un gioco fatto di movimento senza palla e passaggi, il fatto di poter inserire in questo contesto quello che forse è il miglior passatore tra i lunghi dellintera lega è quasi concorrenza sleale (soprattutto se si pensa al paragone con chi occupava quel ruolo prima di lui)
Il numero di volte in cui Webber ha pescato (spesso con passaggio dietro la schiena) un taglio di Prince o Hamilton è già abbondantemente in doppia cifra, ed essendo così temuto il suo passaggio l84 rossoblu si crea buoni spazi di manovra, non deve più forzare un tiro, e si può permettere di tirare dal campo col 54% (miglior percentuale in carriera).
Oltre alla soddisfazione di aver infilato di recente il tap in della vittoria, anche il record parla di una buona scelta sia di Webber che di Detroit.
E allora finale facile e poi si gioca per lanello?
Non ne sono così sicuro.
Lo spogliatoio è comunque in fermento: Coach Saunders non ha assolutamente il controllo della squadra, che esegue poco convinta e mugugnando gli ordini di un allenatore colpevole di non avere una carriera NBA da giocatore di alto livello alle spalle. Il più lontano dal coach è Wallace, in un momento involutivo che spesso fa pensare ai tempi belli di Portland, spesso nervoso e colpevole di un atteggiamento non sempre concentrato, ne tanto meno conciliante.
Il reparto lunghi è in fermento per un evidente problema di eccesso di qualità e quantità: Sheed, Webber, McDyess, Mohamed, Davis e lesordiente (ma sempre più convincente) Maxiell: un po troppo per due posizioni, considerando anche che 3 di questi giocatori (i primi 3) hanno caratteristiche tecniche (nel bene e nel male) molto simili, e che lunico centro vero (nel caso il cielo facesse tornare Wade e si dovesse marcare Shaq) è Mohamed, in aperta polemica con lo staff tecnico per il suo evidente sottoutilizzo.
Come ho già avuto modo di dire, mi sembra poi che il problema sia più mentale che tecnico: perdendo Big Ben i Pistons hanno perso il cuore e il collante della squadra, quello che dava lesempio, che ti costringeva a impegnarti, che copriva i tuoi sbagli, che faceva la voce grossa quando serviva. Ora i Pistons mi sembrano un gruppo di ottimi talenti, senza però una stella vera: finchè le cose vanno bene, possono essere molto temibili. La volta però che, per esempio, James li mette sotto in una serie con due gare da 45 punti, ho il sospetto che Detroit si sfaldi, e i giocatori inizino a scannarsi (fra loro o con il coach) per stabilire chi potrà e dovrà essere il salvatore della patria.
Parlare di anello è del tutto impossibile: che lavversaria sia Dallas, Phoenix o SanAntonio (ma perfino gli improbabili Lakers, o i Rockets), la sconfitta in finale mi sembra inevitabile.
Quanto allarrivarci, io non li vedo così più avanti rispetto a Cleveland (che può tra laltro vantare un record di oltre il 60% contro le squadre dellovest) e Chicago (che a differenza di Detroit è molto più dura mentalmente). Non è che non possano vincere, ma la loro vittoria non è scontata come in molti raccontano.
E poi cè sempre la grande incognita della Florida: al di là del solito teatrino, per cui tutti si affrettano a dire cha Miami, anche con il solo Shaq, resta tra le favorite, squadra di veterani sempre pericolosa, con il centro più dominante di sempre, in realtà tutti ad est sono con il fiato sospeso per sapere se il fenomeno da Marquette si farà operare o no alla spalla dislocata: finchè cè una speranza che lui torni, anche solo per i playoffs, Oneal farà il suo per permettere agli Heat di arrivarci (si segnalano già due prestazioni vintage per il centro di Newark), e allora comunque tutti dovranno fare i conti con i campioni in carica.
In caso contrario, una volta chiarito che per Wade si parla della prossima stagione, penso che anche impegno e minutaggio di Shaq tenderanno a calare, e Miami dovrà passare una calda estate decidendo cosa farà del suo futuro.
Per le altre squadre dellest sono giorni di attesa, per sapere se dovranno passare o no da Wade e Shaq nella loro corsa al titolo. Soprattutto Shaq infatti rappresenta per le sue caratteristiche fisiche un rebus particolare per le difese: provate ad esempio a pensare (come accennavo prima) a chi a Detroit potrebbe marcarlo
Riassumendo, Detroit probabile (anche se assolutamente non certa) finalista, oltre non credo sia possibile.
Nel frattempo però gustiamoci un campione dellNBA in quello che, dopo il beffardo passaggio della sorte (sotto forma di infortunio), è il suo meglio.
Facci sognare, Chris
Vae Victis