[I]”OH Beli, secondo me tu in [B]NBA[/B] duri pochissimo. Arrivi da Bologna dove eri il fenomeno, tutti ti trattavano bene, là invece non sei nessuno…
Poi devi difendere. Sappiamo tutti come difendevi in Italia, non difendevi niente. Devi difendere su gente forte, su Kobe Bryant. Cosa fai con Kobe Bryant ?!?
…EHI!!.. E poi la cosa più importante. Devi imparare ad ascoltare!”[/I]
Chissà se al Beli risuonano forti queste parole ora. Quelle che il mago gli diceva in uno spot della Nike prima che iniziasse la Preseason. Marco non è il tipo da farsi scoraggiare dalle parole di Bargnani, ma forse qualche dubbio deve essergli venuto. Eppure non era iniziata male l’avventura. Preseason da protagonista nelle prime partite con numeri da urlo, con gare anche da 48 minuti giocati in campo.
Ma la Preseason conta poco, ed è quando parte la Regular che iniziano subito le prime difficoltà, con le parole del coach Nelson che suonano quasi come un monito per lo Stallone italiano (con la S maiuscola perchè si parla della somiglianza con l’attore) [I]”Belinelli non è ancora pronto, ci saranno partite in cui non toccherà il campo”.[/I]
Circostanza poi prontamente verificatasi nella gara contro Cleveland, la quarta partita dei Warriors, dopo 3 partecipazioni piuttosto scarne, con [B]13 minuti di media giocati, perlopiù in garbage, e 4 punti di media[/B], ma con percentuali piuttosto basse (33% da 2 e 37% da 3) e soprattutto una difesa poco convincente e 0 liberi tentati, indice di timidezza nell’attacco a canestro. E nemmeno nell’ultima gara contro Dallas c’è stata molta gloria. Nonostante una rotazione a 8 uomini per varie assenze, Marco è stato in campo poco meno di [B]8 minuti, tutti nel secondo quarto, facendo 3 punti figli di un 1 su 2 da tre, e perdendo 1 pallone[/B].
Magari alle parole dello spot ci pensa e idealmente risponde [I]”Mago, ora fai lo splendido, ma tu all’inizio hai incontrato difficoltà quanto me”.[/I]
Ed avrebbe anche ragione. Le prime partite del Mago in NBA furono tutto meno che scintillanti. Nelle prime 9 partite, una media di meno di [B]10 minuti giocati, poco più di 4 i punti di media[/B], percentuali al tiro che si potrebbero definire scabrose con un 38% da 2, un 14% da 3 e 54% ai liberi. Ma soprattutto un approccio alla partita decisamente sbagliato. Molle ed insicuro in difesa e egoista in attacco.
Poi però la svolta, grazie a quella che con tutta probabilità è la più grossa differenza tra Bargnani e Belinelli.
A Sam Mitchell, coach che all’epoca non godeva di grosso credito e fiducia, è arrivata una telefonata da due persone della dirigenza, che portano un nome con un’assonanza fonetica sinistramente simile alla prima scelta 2006.
Nella telefonata, sostanzialmente, Colangelo e soprattutto Gherarducci, hanno fatto presente a Mitchell, che quello bianco e lungo con il numero 7 era stato scelto davanti a tutti al draft, e quindi su di lui era stato speso un bell’investimento.
Questa considerazione, sommata alla partenza decisamente non esaltante di Toronto, avrebbe “consigliato” al coach di tenere di più in campo il 7 piedi italiano.
Risultato: la partita successiva, il 20 novembre contro Utah, [B]27 minuti in campo e 15 punti[/B]. Ma soprattutto, da quel momento, il ruolo di sesto uomo cucitogli addosso accanto al numero 7 ed una stagione per Toronto che assunse pieghe totalmente diverse rispetto alla partenza. Questa fiducia imposta dall’alto, ha portato poi il mago ad avere una media di [B]25 minuti e 11,6 punti a partita in stagione[/B]. E un primo turno dei play off giocato da protagonista.
Non apettiamoci però che questo accada con Belinelli. Mancano tutte le condizioni al contorno che aveva Bargnani.
Tanto per cominciare, a Golden State l’allenatore non è un giovane che deve ancora dimostrare qualcosa come il Mitchell dell’anno scorso. E’ una vecchia volpe della panchina con le sue idee, che nessuno può fargli cambiare, soprattutto per imposizione.
Poi, non c’è una dirigenza che possa decisamente spingere ad un suo utilizzo costante. Su di lui non è stata fatta una scommessa grande come una scelta N1 assoluta. E’ una prima scelta pescata con il numero 18. Che è alta se si considera che è una guardia bianca che arriva da un paese con credenziali non proprio altissime oltreoceano, ma non così tanto da imporla nelle gerarchie della squadra.
E ancora. Toronto arrivava da una stagione decisamente buia ed era in fase di assoluta ricostruzione, e ha deciso di puntare su un basket con interpreti di stampo europeo, pescando Parker, Calderon, Nesterovic e Garbajosa. Tutte vecchie conoscenze del basket del nostro continente. Golden State, al contrario, arriva da un secondo turno ai PO dopo aver schiantato al primo i Mavs, e parte da un roster già rodato e con le gerarchie ben definite, soprattutto nello spot di SG con Monta Ellis in rampa di lancio dallo scorso anno e un Azubuike piuttosto concreto che si dividono il minutaggio.
Dobbiamo quindi preoccuparci e prepararci a un mesto rientro in Italia di Beli alla stregua di Esposito o Rusconi?
Assolutamente no, il bicchiere è mezzo. Vuoto o pieno fate voi. A inizio stagione è stato mandato via Richardson per fare cassa (molta) da usare nel prossimo mercato, anche fidandosi del fatto che il Beli potrà essere uomo da rotazione importante in NBA, se non oggi, fra 1 o 2 stagioni. Oltretutto, Nelson è un coach imprevedibile, e se domani Belinelli sarà di nuovo sul pino tutto il tempo, non è detto che tra 3 partite non stia in campo 20 minuti nei minuti che contano.
Per cui, rispetto al mago, Marco ha tutto il suo futuro nelle proprie mani. Sta a lui mostrare quello che è il suo potenziale, impegnarsi in allenamento e dimostrare che può essere un fattore su entrambi i lati del campo, scalzando Azubuike nelle rotazioni, cosa assolutamente nelle sue possibilità. Deve far vedere che può essere un attaccante pericoloso perchè sa tirare da fuori e penetrare. Ma lui ha la faccia tosta per sapere tutte queste cose. E la ccattiveria di volersi ritagliare un posto in questa lega, in cui ha assoluto diritto di cittadinanza.
E oltretutto ha un vantaggio. Il 20 novembre deve ancora arrivare, e ha tutto il tempo di mettersi in pari col mago, magari nella partita del 18 contro Toronto, primo scontro diretto tra prime scelte italiane in NBA e per dirgli in faccia: [I]”Ti ho ascoltato. E ora ci rivediamo al Rookie Challenge!”.[/I]