A tutti coloro che seguono e leggono AllAround ma non ne fanno parte come redattori, voglio illustrare una giornata tipo. Ogni mattina, dopo una ricca colazione, si valica (virtualmente) la soglia della sede generale. Posta in qualche sala polverosa di non so quale città, all’interno di un probabilmente vetusto server Apache.
In redazione, se si è attenti e pazienti, è possibile scorgere alcuni mitologici redattori come Mirok o Andy. Ma soprattutto il nostro amato direttore Datruth! Questi, appoggiato dal fido Horace, dopo aver catechizzato tutti sull’andamento del nostro magazine è solito proporre i temi da trattare nella settimana ventura.
La buona partenza dei Blazers era uno di questi, ed io che della squadra dell’Oregon sono l’inviato ufficiale, ho assunto l’incarico di scriverci su un pezzo. Preciso, dettagliato e possibilmente senza errori ortografici come vuole il direttore.
Vi starete chiedendo il perché di questo incipit.
E’ presto detto. Al momento della proposta, i Blazers arrivavano da 4 vittorie di fila. Tutte in casa e contro avversari altisonanti (Dallas e Detroit su tutti).
Al momento in cui scrivo, i rossoneri sono reduci da 5 sconfitte consecutive. Di cui 4 in trasferta e contro squadre tutt’altro che irresistibili (Charlotte, Philly, Washington privi di Arenas…). Come dire che quello che volevo scrivere la domenica non è più quello che scrivo ora.
Ora cerchiamo di riordinare le idee.
Francamente ad inizio stagione credevo in una partenza molto più stentata per i miei
Blazers. Invece mi sono dovuto piacevolmente ricredere.
Sarà che la mazzata Oden aveva abbacchiato un po’ tutti, annebbiando la vista su di un potenziale che anche grazie anche alle sapienti mani plasmatrici di McMillan, c’è ed è cresciuto bene.
La dirigenza negli ultimi 3 anni ha saputo piazzare i colpi giusti, privandosi di contratti pesanti e giocatori turbolenti. E, come sempre nel sport professionistico e ancor più nella terra dei dollaroni, il rinnovato entusiasmo del presidente Paul Allen ha condito il tutto.
La squadra ha un settore lunghi invidiabile. Con Aldrige in rampa di lancio per diventare un grande, una sicurezza come Frye e un ottimo elemento cone Przybilla Oden può guarire in tutta tranquillità. (Non troppa, è già “ingrassato” di 12 chili!)
Fra le guardie, oltre alle già note capacità di Roy che si stanno ripetendo anche quest’anno, non passa sotto silenzio l’ottimo inizio di Martell Webster. Finalmente il ragazzo venuto direttamente dall’high School sta mostrando perché è stato scelto col pick n° 6. Il suo tiro micidiale, finalmente costante.
Le percentuali dicono 37% da oltre l’arco. Con già 21 bombe insaccate e 13.2 punti di media
a partita. L’anno scorso erano 7…
Il ruolo di playmaking invece, è il più variabile. Quantità più che qualità è la parola giusta, visto che le quattro point guard a disposizione di McMillan sono virtualmente intercambiabili.
Jack, al terzo anno nella lega, ha iniziato in quintetto ma ha presto deluso. Messo in panca sembra esser rinato, con prestazioni eccellenti anche in attacco. Blake, inizialmente il numero 2 nella scala gerarchica, è entrato nello starting five, dando ai Blazers ciò di cui avevano bisogno. Ordine. La voce assit per turnover è il fiore all’occhiello nelle statistiche di Steve.
Poi c’è Rodriguez, le cui quotazioni sembrano in ribasso. E’ notizia dell’ultim’ora di un faccia a faccia con il coach per capire cosa non va. Dopo la buona stagione da matricola, Sergio si apettava maggiori responsabilità. Invece l’arrivo in estate di Blake ha innervosito lo spagnolo che recentemente è stato scavalcato persino dall’ultimo arrivato, il rookie Tauren Green, fra l’altro validissimo giocatore.
Voci di corridoio propendono per un lieto fine, ma staremo a vedere. Di certo la competizione per il “numero 1” è spietata.
Fra le ali piccole, già detto di Webster che oscilla fra i due ruoli guardia-ala, Outlaw continua ad alternare buone cose con prestazioni opache. Non ancora pervenuti purtoppo Jones e l’altro rookie McRoberts, ancora fermi ai box per guai fisici. C’è anche LaFrentz, attualmente ultimo uomo prima degli infortunati.
In ogni caso, detta così, sembrerebbe una squadra da play off. in realtà ciò che frena, come dimostrato proprio dal comportamente fortemente altalenante, è la giovanissima età di tutti e la quasi assoluta mancanza di esperienza ad alti livelli.
Atleticamente la squadra vola e la tecnica non manca. La forza mentale è invece tutta da definire. La gara con i Sixers è emblematica. Aldrige servito in post è immarcabile, dai blocchi le guardie puniscono con regolarità, si difende discretamente e si riparte in velocità.
Ad inizio quarto periodo il tabellone segna +17.
A quel punto un paio di palle perse con conseguente schiacciata in contropiede, ridanno respiro ai giocatorie e ai tifosi della città dell’amore fraterno. L’atmosfera si riscalda un minimo e Portland si scioglie. “Troppo morbidi” la parola usata dal coach.
Sconfitta chiama sconfitta.
A Washington al primo svantaggio del primo quarto si molla la presa.
A Charlotte, a spezzare l’equilibio sono i falli di Aldrige, che “deprimono” tutto il settore lunghi.
Il ritorno al Rose Garden è un ritorno all’oasi. Contro i Nets, nella notte, partita bella ed equilibrata. Ma sul +3 a un minuto e mezzo dalla fine errori difensivi, assenza di tagliafuori e scelte avventate in attacco condannano i ragazzi di McMillan.
D’altronde quando dall’altra parte c’è quel volpone di Kidd…
Il record casalingo non è più immacolto (4-1), ma d’altronde non ci si aspettava che durasse in eterno. In ogni caso i Blazers sembrano in grado di togliersi qualche soddisfazione quest’anno.
Così ad occhio il più grande problema è il fatto di giocare in una conference di ferro. Ci sono almeno 4-5 squadre da titolo e 5-6 outsider molto forti. Solo Memphis, Minnesota e
Seattle sembrano più indietro, con i Kings a giocarsela proprio con la franchigia dell’Oregon.
Certo Oden è fuori tutto l’anno, ma qualche maligno starà pensando: “Come sarebbero stati i
Blazers con un’ala piccola chiamata Durant?”
Ai posteri la sentenza.