Prendete una squadra NBA, toglietele un designato erede di Michael Jordan che è stato scelto col pick N3 nel 1994. Eliminate alla stessa squadra la seconda scelta assoluta del draft 2003, uno dei più forti di sempre. Fatto? Bene, Ora sostituite i due fattori con un giocatore a metà tra il 3 e il 4 che finora non aveva avuto modo di dimostrare molto perchè coperto da una stella. Fatto? Ottimo, state andando benissimo. Ora togliete un coach che con questa squadra ha il 60% di vittorie e lo scorso novembre è stato nominato coach of the month partendo con un record di 12-4 e mettete al suo posto un coach che è stato esonerato 2 stagioni fa dopo aver avuto una partenza 10-12 con una squadra che poi ha vinto il titolo.
Shakerate bene e… cosa ottenete?
Se si legge in modo asettico quanto scritto sopra la risposta automatica sarebbe [I]”Una stagione da lottery”. [/I]
Invece la risposta corretta è [I]”Una stagione con la partenza migliore che la franchigia abbia mai avuto”[/I]
Mi sembra di sentire la vostra obiezione [I]”Si.. e dove siamo? Nel magico mondo di Topolino e Peter Pan?!?”[/I]
Esatto! Bravi! Avete indovinato.
Perchè argomento di discussione sono gli [B]Orlando Magic[/B], e il record, allo stato attuale delle cose, segna [B]14-3.. and counting… [/B]come direbbero di là dell’oceano.
E se gli ingredienti tolti sembrano più gustosi di quelli messi, dobbiamo considerare che la terza scelta di cui sopra è [B]Grant Hill[/B]. Un giocatore sì fantastico, ma che il fato avverso ci ha tolto nel momento di miglior splendore a causa di [B]caviglie fragili e inclini all’infortunio[/B], che sebbene in questo momento stia facendo decisamente bene in Arizona, a 35 anni non era più il secondo violino che nella terra di Mickey Mouse stavano cercando. E la seconda scelta del 2003 è quel [B]Darko Milicic[/B] che rischia di essere per sempre [B]”quello scelto prima di Carmelo Anthony, Wade, Bosh, Kaman e Hinrich.”[/B]
Chi è arrivato è [B]Rashard Lewis[/B], secondo violino di una squadra che la scorsa stagione giocava a perdere e solo per la sua star principale, Ray Allen. E che sta dimostrando di essere un [B]giocatore decisamente eclettico[/B] e a cui si possono affidare palloni pesanti.
Per completare però la ricetta vincente c’è stato bisogno di mettere l’ingrediente principale, anzi, [B]lo chef [/B]che ha saputo miscelare al meglio gli ingredienti e tirare fuori il meglio da questa squadra.
Perchè se coach Brian Hill l’anno scorso non dava mai l’impressione di allenare veramente la squadra e di essere succube di rotazioni e quintetti predeterminati, quest’anno, con un ripescato [B]Stan Van Gundy[/B], l’impressione è decisamente diversa.
Van Gundy ha saputo dare un'[B]identità definita[/B] a questa squadra, disegnando schemi e quintetti modellandoli sulla base del materiale umano a disposizione [B]e idee ben precise.[/B] Per cui via al progetto quintetto basso, con Lewis da 4 e Turkoglu da 3 e Dwight Howard definitivamente dirottato in posizione di centro, dove sta dimostrando sprazzi di onnipotenza fisica e soprattutto un miglioramento tecnico su molti fondamentali. Quintetto per Bogans, che regala la difesa sugli esterni di cui la squadra sentiva la necessità, e soprattutto [B]doghouse sia per JJ Reddick[/B], guardia tiratrice scelta lo scorso draft al numero 11 che mal si coniuga con le caratteristiche che deve avere un 2 nella concezione di Stan, essendo un esterno prettamente perimetrale con poca difesa e soprattutto poco fisico; [B]sia per Trevor Ariza[/B], ala che lo scorso anno arrivò dopo aver fatto molto bene ai Knicks (cosa già di per sè degna di nota) e che in Florida aveva mostrato sprazzi di atletismo e approccio molto attivo in fase difensiva. La scarsa propensione al gioco perimetrale, però lo ha reso poco adatto alla versatilità che Van Gundy richiede ai suoi 3, che devono essere abili sia in fase di tiro che di penetrazione. Proprio a causa di questa poca adattabilità al gioco di Van Gundy ha fatto si che Ariza venisse [B]spedito a Los Angeles[/B], sponda Lakers, [B]in cambio di Cook e di Evans. [/B]Il primo preso per dare ancora una maggiore pericolosità dall’arco e chili nello spot di 4 di riserva, il secondo per dare difesa e rimbalzi senza per questo chiedere i tiri che chiedeva Trevor.
Proprio l’ottica con cui Van Gundy vede il ruolo di SF è la ragione dell'[B]ottima stagione che sta producendo Turkoglu[/B], che porta alla causa 18,5 punti, quasi 6 rimbalzi e quasi 4 assist Il motivo del miglioramento è dovuto al cambio di utilizzo che viene fatto del turco, che rispetto alla stagione scorsa in cui era messo per la maggior parte delle volte ad aspettar scarichi sul lato debole, ha [B]spesso il pallone in mano[/B] e può permettersi di decidere se andare dentro o costruirsi il tiro, cosa di cui è sempre stato capace.
A orchestrare il gioco un play, [B]Jameer Nelson[/B], che se l’anno scorso era quello che più doveva prendersi responsabilità nei momenti più caldi della partita per portare la squadra in alto, quest’anno può permettersi di essere “solo” [B]l’organizzatore del gioco[/B], senza per questo disdegnare la fase realizzative avendo in media 13,4 punti, mantenendosi in linea con lo scorso anno, ma a aggiungendo 6,4 assist che sono circa 2 in più della passata stagione.
Ma la [B]vera esplosione[/B], ulteriore, [B]di Dwight Howard è la vera ragione di una partenza così scintillante[/B]. Finora infatti il centro di Orlando, alla quarta stagione NBA, ha messo insieme [B]statistiche da top 5 del ruolo[/B], con 22,5 punti e 14,4 rimbalzi, dimostrando, come già detto in precedenza, sprazzi di dominio assoluto dell’area. E se i numeri dimostrano una crescita in tutti gli aspetti del gioco, ancora di più questo lo si può notare vedendolo giocare. Quest’anno ha mostrato infatti movimenti in post che le scorse stagioni non gli appartenevano e, soprattutto, una [B]crescita importante nella fase difensiva[/B]. Se l’anno scorso infatti era temibile in aiuto per il suo atletismo e le sue lunghe braccia che lo portavano ad essere un ottimo stoppatore, quest’anno ha aggiunto un’ottima difesa di posizione sul lungo avversario, limitando in sigle coverage anche star del calibro di Garnett, tenuto nella sfida vinta contro i Celtics a soli 14 punti e a 1 assist, indice di quanto Howard gli abbia dato fastidio quando riceveva palla in post, e lo abbia mandato fuori per falli, facendolo ricorrere alle maniere forti per fermare un Howard in palla.
Dalla panca, già detto di Evans e Cook, si possono alzare Foyle, a dare sostanza sotto canestro quando Dwight rifiata, Dooling, cambio dei piccoli che dà punti e ordine, e Arroyo, che è sempre più croce e delizia dei tifosi a causa delle iniziative non troppo ortodosse che spesso prende.
A questo punto però la domanda che ci si pone è se, come l’anno scorso, la partenza di Orlando non sarà poi vanificata da un mediocre prosieguo di stagione che portò la squadra ad agguantare i Playoff solo alla fine e con l’ultimo posto disponibile, o [B]se sarà vera gloria[/B], e i Magic continueranno a fare l’ottima stagione che si sta prospettando da questo inizio trionfante.
Difficile rispondere, ma c’è la sensazione che se gli infortuni lasceranno in pace il roster, questa squadra è [B]indiziata per stupire fino alla fine[/B], avendo un’organizzazione di gioco e un allenatore più pronto a reggere le pressioni dell’intera stagione, senza lasciarsi trascinare dagli eventi negativi che può avere una regular season NBA fatta di 82 partite, come invece l’anno scorso è successo.
E in primavera, nella postseason, si potrà vedere se Orlando è veramente cresciuta e quanto potrà ancora crescere, considerando che gli elementi chiave del team sono tutti sotto i 28 anni.
La strada è ancora lunga dunque, ma dopo Shaq e Penny, a Orlando quest’anno ci si diverte anche fuori dai cancelli di DisneyWorld.