In occasione delle Final Eight di Coppa Italia si è tornati a parlare, all’assemblea della Lega, della tanto temuta modifica al regolamento, che andrebbe ad imporre 6 italiani a referto a partire dalla prossima stagione. Sono stati oggetto di dibattito anche alcuni corollari della cervellotica normativa; alcuni dei quali (ahhhhhhh!) già operativi, come quello relativo ai giocatori di formazione italiana che, prevedendo per tale status almeno 4 anni di settore giovanile, non consentirebbe, ad esempio, a Roberto Chiacig, cresciuto a frico e tocai, di giocare in nazionale ed è costato all’Olimpia Milano 50.000 euro di multa per aver messo mesi or sono a referto il quindicenne di Rho, Scomparin. Follie italiane sulle quali non mi dilungo.
Il nostro campionato è malato di impoverimento. La necessità di ricercarne le cure è legittima, gli antidoti proposti molto meno. Difficile prevedere se la proposta di legge andrà in porto, perché le pressioni dei tanti scettici (eufemismo) sono forti. Minucci ne è il principale portavoce. Si potrebbe obiettare che stia solo tirando acqua al proprio mulino (Siena con 6 italiani veri non potrebbe più essere questa…), se non fosse che quanto da lui dichiarato ai microfoni di Sky non è in alcun modo contestabile. Ma la riflessione sulla nuova normativa proposta è già stata a suo tempo affrontata. Parliamo allora di altri mali; e di altri antidoti.
Avellino ha appena vinto la Coppa Italia. Se la memoria non mi inganna, dall’inizio della stagione il suo roster non ha subito alcuna modifica. Un caso? Per il medesimo motivo, guarda un po’, il cammino della Premiata finora è stato eccellente. Anche Udine, che mi sembra abbia cambiato poco o nulla, tutto sommato sta facendo il suo. Lo stesso discorso varrebbe per Capo d’Orlando e magari anche per Teramo, salvo che ora…
Si diceva, a inizio stagione, che, visti i lunghi tempi di rodaggio necessari alla più parte delle squadre, il campionato avrebbe espresso significative sentenze solo dopo diversi mesi. Ebbene, siamo ormai in pieno girone di ritorno e le uniche sentenze passate in giudicato sono quelle che sanciscono la solidità di Siena (che al mercato di riparazione è ricorsa solo per l’infortunio di Kaukenas), Avellino e Montegranaro. Relativamente a diverse altre squadre la giuria è ancora in camera di consiglio; perché non solo non è chiaro come giudicare, ma nemmeno su chi e che cosa.
Diciamolo, il mercato sempre aperto, nel quale non girano grandi somme, è una tristezza. Treviso, Milano e la Bologna di Sabatini (ma sono solo gli esempi più eclatanti), alla nevrotica ricerca del colore giusto, hanno sviluppato sorprendenti virtù camaleontiche, che, però, a conti fatti, sono finora servite a poco. Milano può magari dire ora di avere il suo colore, ma si tratta pur sempre di una tinta sbiadita, rispetto alle ambizioni di agosto. Perfino Roma, che, sia pur con risultati alterni, rappresenta la seconda forza del campionato, non sembra essere mai sazia di nuovi volti. Mi chiedo se il mercato di riparazione, che dovrebbe costituire un antidoto, non sia invece il vero male…
Minucci, contestando la futura regola dei 6 italiani a referto, parlava della necessità di essere competitivi in Europa. La stessa ratio dovrebbe avere pure il mercato di riparazione: le squadre nostre avversarie in Eurolega si rinforzano. Dobbiamo farlo anche noi!
Legittimo. Se non fosse che nel nostro caso caso non si aggiunge al menù, che so, un antipasto raffinato, acquistato in una raffinata gastronomia di Bologna. Qui si fa la spesa al discount!
Legittimo. Se non fosse che qui si ricorre al mercato di riparazione non per aggiustare, ma per rifare in toto una squadra costruita in estate senza alcun criterio. Il perché è facilmente intuibile; e comunque non giustificabile. I pochi soldi non consentono di acquistare prodotti pregiati ed allora si tende a far mucchio nel carrello della spesa: ci si riempie di mestieranti, scommesse e magari di giocatori dal talento mai espresso (pure loro, perciò, scommesse); con la timida speranza di fare la squadra e, ahimè, con l’assoluta certezza di poter tornare a pescare tra i poveri, ma pur sempre forniti, scaffali del discount.
Questa è la vera piaga del mercato aperto: si finisce per essere concentrati più su di esso, che non sull’esigenza di lavorare su ciò che si ha a disposizione. I risultati sono deludenti, la squadra fatica ad acquisire un’identità, i tifosi mugugnano, una schizzofrenica frenesia infetta la sala dei bottoni e… via: al bando ogni progetto, si cambia! Si mettono altri soldi sul tavolo verde e si spera che alla roulette esca il tuo numero. Con, oltretutto, il risultato di spendere magari di più quel che non si sarebbe speso con programmazioni avvedute. Perché al discount i prodotti costano meno, ma non sono regalati.
Magari Bologna, con Best e il rientro di Blizzard e Bulleri, farà alla fine grandi cose. Magari Treviso ingranerà. Magari Roma potrà insidiare Siena. Perché, in effetti, in un contesto tanto mediocre, basta un innesto a trasformare un’accozzaglia di giocatori in… una competitiva accozzaglia di giocatori. E magari il buon lavoro di Capo d’Orlando sarà rovinato da esigenze di mercato che penalizzano inevitabilmente i più poveri tra i poveri. Di sicuro, come non avere le palle piene di tutte queste girandole!
L’ipotesi dei 6 italiani a referto è una scelta coraggiosa. Bene, c’è proprio bisogno di osare. Ma è una scelta sbagliata. A mali estremi estremi rimedi. Non si abbandoni allora il coraggio e si pongano dei limiti alla libertà di acquisto. Il che ci potrebbe penalizzare in parte a livello europeo, ma non tanto quanto la messa al bando del raziocinio, quale triste conseguenza del mercato sempre aperto. Si faccia in modo che i gm costruiscano una squadra in estate, che più o meno tale e quale dovrà rimanere fino alla fine. Una soluzione che zittisca le invocazioni di tagli e nuovi acquisti da parte dei tifosi e le lamentele dei procuratori di giocatori scontenti e vogliosi di cambiare aria. Una soluzione che consenta (meglio, imponga, visto che loro per primi prendono troppo volentieri in mano il carrello della spesa…) agli allenatori di lavorare sul materiale umano che hanno a disposizione, facendolo crescere fino a trasformarlo in quella cosa chiamata squadra. Sicuri che le cose andrebbero peggio?
E sulla possibilità, forse mai presa troppo seriamente, di trasformare la Lega 2 (campionato, mi sembra, dall’appeal in caduta) in una valida vetrina per i giovani italiani, magari se ne parlerà alla prossima…