Come era prevedibile, nella prossima stagione non ci sarà l’obbligo di schierare 6 italiani a referto. Ma si tratta solo di un rinvio.
Qualche settimana fa, le Commissioni di Fip e Lega, con il benestare del Coni, hanno raggiunto un accordo in merito ad una bozza relativa al numero di italiani e stranieri utilizzabili fino alla stagione 2012-2013. Laccordo prevede, per il 2008-09, quattro giocatori di formazione italiana e due giocatori con passaporto italiano, oltre a quattro extracomunitari. Nelle tre seguenti stagioni il numero di giocatori di formazione italiana passerà a 5, cui si aggiungono un giocatore con passaporto italiano e quattro extracomunitari. Infine, nella stagione 2012-13, si arriverà a 6 giocatori di formazione italiana, con quattro giocatori extracomunitari.
Si tratta di un patto partorito con l’idea di assecondare interessi contrapposti, dal quale però la Giba ed il ct dell’Italia sono rimasti delusi, manifestando il proprio dissenso con una lettera firmata dai giocatori della Nazionale presenti all’ultimo raduno. Tirano, e, per quello che è il loro ruolo, giustamente, acqua al proprio mulino. Recalcati vorrebbe poter disporre, grazie ad un campionato più italiano, di un maggior numero di giocatori )e di maggior qualità) per la nazionale. L’associazione dei giocatori vorrebbe eliminare la concorrenza straniera, in effetti penalizzante per i giocatori di casa nostra.
A suo tempo avevo già manifestato il mio pensiero: i benefici che deriverebbero dall’assecondare le esigenze degli italianisti avrebbero un prezzo (e prezzo è proprio la parola giusta) troppo alto da pagare. Al momento non c’è un numero sufficiente di italiani di qualità tale da mantenere un livello adeguato per il nostro campionato: in Europa ne usciremmo con le ossa rotte, se si pensa che già ora arranchiamo. Oltretutto, i pochi italiani costano molto di più di quel che valgono: piaccia o meno, soprattutto le piccole società sopravvivono nella massima serie quasi esclusivamente grazie al rendimento di mercenari d’oltre oceano; mercenari che però hanno un prezzo molto più accessibile rispetto agli italiani di pari livello. Dando un occhio alle statistiche, alla voce punti (si dice spesso che i punti non dicono tutto, ma mai troppo spesso che, in fondo, lo scopo di questo gioco è fare canestro), il confronto tra italiani e stranieri è imbarazzante; credetemi sulla parola.
Vero è che, magari soffrendo qualche anno, se si riuscisse in effetti, grazie all’obbligo di un maggior numero di giocatori nostrani in roster, a produrre più italiani, ne conseguirebbe anche una diminuzione del loro prezzo. Oggi gli italiani constano molto perché sono pochi; la maggior concorrenza cambierebbe le cose. Mi chiedo però se gli anni di sofferenza siano sopportabili per quelle società che hanno ambizioni a livello europeo. E mi chiedo anche se i prossimi campionati che ci attendono saranno in effetti utili a forgiare giocatori di spessore: è sicuro che 30′ da protagonista in un campionato povero abbiano più valore di 10′ da comprimario in una lega competitiva?
Gli italianisiti, a sostegno della loro posizione, puntano l’attenzione anche su un altro aspetto; ed è, questa, un’argomentazione decisamente convincente: i tifosi sono stanchi del fatto che le squadre siano infarcite di stranieri girovaghi, troppo professionisti e perciò troppo poco propensi a legarsi alle società in cui militano, se non a suon di dollari. Ma è così vero che i matrimoni con gli italiani durano di più? Che sugli italiani si può costruire? Gli italiani sembrano (sembrano) più affidabili nel ruolo, sempre più complesso, di bandiera; la loro permanenza in un posto pare (pare) meno legata ai soldi. Il castello di carte crolla però, tanto per prendere un esempio a caso, nel momento in cui si dà un occhio al salario di Gigli: lo stipendio da bandiera (siamo oltre i 500 mila euro…) ad una baderuola, dovrebbe far pensare. È credibile che l’idea di uno zoccolo duro italiano sia la grande alternativa al professionismo esasperato, quello che determina camaleontiche trasformazioni estive della più parte dei roster? A me non sembra, visto che tali zoccoli duri non si costruiscono sui sentimenti, sull’adesione di cuore ad un progetto, ma, anche in questo caso, sui soldi. Dove sta l’abisso, a livello di mentalità, tra lo yankee mercenario e l’italiano? Chiudo la divagazione dicendo che sarebbe controproducente per ogni squadra rinunciare a priori alla costruzione di un solido nucleo. L’importante è farsi ragione del fatto che il collante che tiene insieme i giocatori (non l’unico, ma, diciamolo, il più importante) sarà comunque il soldo. Ed allora tanto vale darlo a chi lo merita, senza guardare al passaporto. Siena docet.
A corollario dell’accordo sugli italiani a referto, la bozza delle Commissioni di Fip e Lega prevede anche ulteriori iniziative collegate al progetto Giocatore Italiano: la creazione di un campionato Under 19 a livello nazionale e di un centro di addestramento Nazionale. Vi è stato dato poco risalto, ma non è detto che non siano proprio queste idee, molto più che non la portata principale del menù, a dare benefici al movimento.
Chiudo con una domanda. Il nostro basket è spesso e giustamente accusato di peccare di lungimiranza. Siamo sicuri che le società sapranno far tesoro degli anni di transizione? Oppure si assisterà, nell’estate del 2012, ad una gara di pesca nelle serie minori?