Che i giorni di [b]Randy Wittman[/b] ai [b]Timberwolvers[/b] fossero contati era cosa nota, così come il fatto che a sostituirlo sarebbe stato il [i]president of basketball operation[/i] [b]Kevin McHale[/b], come malignavano i soliti ben informati da più di qualche giorno.
Wittman, che da giocatore era stato una [b]stella al college[/b], con tanto di [b]titolo NCAA[/b] ad [b]Indiana[/b] sotto coach [b]Bobby Knight[/b] nel 1981 e [b]Big Ten Player of the Year[/b] nel 1983, da coach di Minnesota era titolare di un record di 100 vittorie a fronte di 207 sconfitte, uno dei peggiori record all time, ed aveva iniziato questanno sulla falsariga di quello passato, con 4 vittorie e 15 sconfitte.
Il problema, aldilà delle sconfitte, anche preventivabili vista letà media, la composizione e la qualità del roster, è che Wittman durante i quasi due anni da head coach non è riuscito in nessuno caso a dare alla squadra almeno [b]unimpronta chiara[/b] ed anzi spesso è apparso schiavo di scelte estemporanee e frutto dellidea del momento piuttosto che di unanalisi ben ponderata. Si arriva così a Minnesota che ha il settimo peggior attacco e lottava peggior difesa della lega, con un differenziale di oltre -6 punti tra punti concessi e segnati, la terza peggior percentuale dal campo 43% a fronte del 47% (quinta peggior squadra) concesso agli avversari, la quarta peggior percentuale dallarco della lega, il 31.3% a fronte del 38.8% concesso (terza peggior percentuale). Un raffronto statistico che mette i brividi e che, se non tutto, un po racconta di questa squadra, in preda ad una ricostruzione che non sembra mai effettivamente partire, e che dal punto di vista tecnico ha ben poco da offrire.
Il cambio in cabina di comando, con Wittman sostituito, come detto da Kevin McHale, fortemente voluto da Glen Taylor, owner di Minnie, non si capisce bene a cosa possa portare (nellimmediato allennesimo record negativo, con [b]Carmelo Anthony[/b] che nella notte segna 45 punti nella sconfitta di Jefferson e soci in Colorado, di cui [b]33 nel solo terzo quarto[/b], record NBA per punti in un quarto di [b]George Gervin[/b] pareggiato). Le rotazioni almeno per il momento sono rimaste identiche, con
lalternarsi in regia tra [b]Telfair[/b], semplicemente inadeguato al ruolo di regista titolare di una qualsiasi franchigia che non abbia come obbiettivo unico quello di correre senza costrutto, e [b]Randy Foye[/b], comboguard fatta e finita che, al momento, non dimostra di avere abbastanza margini di crescita per diventare quel regista affidabile che i Wolves cercano dai tempi di Terrell Brandon e per cui hanno sacrificato niente di meno che Brandon Roy. Come guardia titolare cè [b]Mike Miller[/b], arrivato nel Minnesota assieme a [b]Kevin Love[/b] in cambio di Ovinton J’ Anthony Mayo, Darrell Arthur, Antoine Walker, Marko Jaric e Greg Buckner ha stabilizzato le rotazioni in guardia, ruolo peraltro dove i Wolves avevano Rashard McCants in rampa di lancio. In ala piccola [b]Corey Brewer[/b], miglior difensore della squadra ma ampiamente deludente in attacco, almeno stando a ciò che ci si aspettava da lui alluscita dal college, rimarrà fuori per l’intera stagione a causa della rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio destro. Il suo posto in queste prime partite è stato preso da [b]Ryan Gomes[/b], alona da Provvidence il cui processo di transizione da ala forte ad ala piccola è a buon punto ma è tuttaltro che completato che ha vinto, almeno per il momento il ballottaggio con Rodney Carney, altro giocatore in crisi didentità arrivato da Philadelphia. Sotto canestro detto dellinamovibilità di [b]Al Jefferson[/b], leader più tecnico, e statistico 21 punti 10 rimbalzi e 2 stoppate di media, che emotivo, per il momento si spartisce i minuti, più che giocarci assieme, con [b]Kevin Love[/b], rookie da UCLA. Accanto a lui, oltre alle apparizioni di Love, ci sono Craig Smith, la più grossa circonferenza vita NBA dai tempi di Tractor Traylor, ed il carneade Jason Collins.
Come detto un roster non eccelso qualitativamente, che vive peraltro su equilibri labili e su controversie da dirimere: Foye potrà mai diventare una point guard affidabile? Love e Jefferson sono complementari? McCants troverà mai la sua dimensione? Brewer riuscirà a metter su qualche chilo di muscoli e qualche movimento offensivo? Ma soprattutto riuscirà Jefferson a scrollarsi di dosso l’indolenza difensiva e l’apatia, almeno superficiale, che lo pervade ed a diventare un leader?
Interrogativi non di poco conto cui questo scorcio di stagione ha già dato qualche risposta. Si pensi a Love e Jefferson ad esempio, con Big Al che si è visto affiancato, lui che non è esattamente un mostro di atletismo quanto piuttosto un eccellente giocatore di post basso, un lungo sì dal buon tiro dalla media, ma esattamente poco atletico come lui, non molto più alto e più grosso e non miglior difensore (ed esserlo paragonato a Jefferson, a volte perfino irritante dietro, non è un bel segnale). Un giocatore simile, che magari avrà uno sviluppo più perimetrale, ma non esattamente quel complemento che ci si aspettava, tantè che per il momento in quintetto ci va Smith che è pure più basso di Jefferson ma almeno ha una dimensione fisica tale da poter permettere a Big Al di fare il suo comodo (che peraltro comunque ha sempre fatto) sia davanti che dietro. Idem dicasi per la questione Foye, il cui tiro dalla media è rispettabilissimo ma la cui gestione del gioco lettura delle situazioni lascia piuttosto titubanti, visto che continua a sembrare una guardia che porta la palla piuttosto che un playmaker. Infine [b]Jefferson[/b]: che abbia momenti di totale dominio è indubbio, perchè nonostante l’atletismo ben aldisotto dei livelli standar NBA parliamo di un sopraffino giocatore di post basso, con piedi rapidi e capacità di concludere con entrambe le mani in avvicinamento, con un bagaglio di movimenti spalle a canestro illimitato, che comprende gancio e semigancio, jumper cadendo all’indietro, passo d’incrocio e movimenti d’agilità e potenza verso il fondo e verso il centro dell’area. Il problema è che non da mai l’impressione di avere la squadra in mano, nè di potersela caricare sulle spalle. Problema d’età? Di compagni? Di allenatore? Può essere, ma potremmo anche trovarci difronte ad uno strepitoso comprimario piuttosto che ad un aspirante leader, ma questa è un’opzione che in Minnesota non vogliono nemmeno considerare, per il momento.
Cosa aspettarsi dal futuro? al momento è chiaro: un paio di giri in lotteria, sperando che la mano sia fortunata e soprattutto che chi si trova a scegliere analizzi più a fondo il draft rispetto al passato, per evitare perle come McCants scelto prima di [b]Danny Granger[/b], Nate Robinson Jason Maxiell, Monta Ellis e Jarrett Jack, Randy Foye scambiato alla pari con [b]Brandon Roy[/b], e scelto prima di Rudy Gay o Corey Brewer scelto prima di Spencer Hawes, [b]Al Thornton[/b] o Rudy Fernandez. Altre soluzioni sono difficilmente ipotizzabili, anche perché a livello salariale Minnie è piuttosto vincolata, avendo a pesare sul salary cap oltre al neo contrattone di Jefferson, i contratti di Miller e Cardinal (quasi 17 milioni di dollari complessivi in scadenza 2010) e trovandosi, di qui a breve, nella condizione di dover scegliere chi e come rinnovare i contratti dei tanti giovani presenti nel roster. Riusciranno [b]Jim Stack[/b], nuovo General Manager, e soprattutto [b]Fred Hoiberg[/b], che pare sia il vero delfino di McHale e quindi indiziato a diventare, nel giro di qualche tempo, completato lapprendistato da dirigente, a tirar fuori dal pantano della mediocrità i Timberwolvers?