Divertente, equilibrata e combattuta, questa in sintesi quella che è stata la serie tra le due migliori squadre della Western Conference dopo la RS.
I Nuggets arrivavano a questa sfida sulla carta maggiormente riposati, dopo aver risolto senza troppi patemi le pratiche Hornets e Mavericks, teams che ai Playoffs avevano ben poco da dire; LAL invece, dopo il 4-1 rifilato ai Jazz, aveva dovuto utilizzare tutte e sette le gare possibili per sbarazzarsi dei Rockets, seppur questi privi di Yao Ming per più di metà partite.
I primi tre match vengono decisi solo nei secondi finali, con Trevor Ariza protagonista assoluto di due fantastiche steals che guidano la squadra gialloviola sul 2-1; Denver però pareggia i conti in gara-4 grazie ad un’ottima prova di gruppo, favorita dalla poca determinazione (e difesa) della squadra di coach Zen che affonda sul -19 ([i]”ci hanno preso a calci nel sedere”[/i] dichiarerà poi Kobe). Allo Staples Center, LA torna davanti e nuovamente in trasferta i Lakers tirano fuori dal cappello una delle migliori partite della stagione, surclassando gli avversari (119-92 il risultato finale) e assicurandosi così la seconda Finals consecutiva, la sesta dal 2000, primo anno del celeberrimo threepeat.
[b]Cosa rimane?[/b]
In casa LA continua la migliore postseason mai giocata da Kobe Bryant (29.6 punti per gara, 34 nella sola finale di Conference), alla seconda stagione da primo violino assoluto, forse la decisiva per zittire chi ancora ha da discutere sui tre anelli vinti dal fuoriclasse di Lower Marion: il #24, per quanto JR Smith e Dahntay Jones siano giocatori pieni di grinta, si è reso immarcabile da chiunque zittendo il Pepsi Center che non l’ha mai amato e mai lo amerà. Il Mamba dimostra inoltre di maturare giorno per giorno anche dopo oltre un decennio di carriera, acquisendo una visione di gioco sempre migliore con passaggi tanto fenomenali quanto i suoi jumper: a questo progresso partecipano senza dubbio i “comprimari”, da Ariza a Gasol, da Odom a Brown che hanno sempre offerto il loro grande talento per portare questa gloriosa franchigia ad un titolo, ora come non mai divenuto [b]un must[/b]. La crescita generale del gruppo dallo scorso anno è sensibilmente avvertibile, con buona parte della rosa pronta a gestire al meglio azioni salienti nei finali concitati: ne entrano a far parte Fisher, la cui esperienza resta sempre necessaria, nonostante “The fish” non stia giocando granchè bene, il centro catalano Pau, che in quanto a tecnica nel pitturato ha ben pochi rivali, Ariza sempre pronto in difesa sulle linee di passaggio, Brown fenomeno inaspettato, insomma Jackson ha nelle mani dei potenziali campioni NBA, ma al passo più importante mancano ancora 4W e solo con il contributo della panchina l’ultima serie potrà essere vinta con maggiore scioltezza. Serviranno difatti i veri Farmar, Walton e Vujacic per tenere il campo contro le seconde linee dei Magic, non certo quelli visti contro i Nuggets dove nella sola gara-6 la prestazione della panca può essere reputata sufficiente.
Rimangono pur sempre, a onor del vero, i cali di concentrazione che ancora impauriscono i fans losangeleni: è però lecito pensare, che ai lacustri la lezione delle scorse Finals ( ripetutasi ancora qualche volta in questa stagione) sia bastata, anche perchè ora la sconfitta significherebbe soltanto fallimento.
Ai Nuggets, tornati ai livelli alti della lega dove la loro presenza mancava dal lontano 1985, rimane la consapevolezza di poter ambire seriamente all’anello: è vero, la squadra di Karl è giovane e l’affondata in game-6 dimostra quanto avere giocatori di poca esperienza possa rivelarsi un fattore così determinante. Il solo Carmelo Anthony non è bastato infatti a cambiare le sorti, abbandonato nei momenti clou dai compagni, in particolar modo da Billups su cui Shannon Brown ha compiuto un grandioso lavoro; ma sono mancati anche Nenè, che non ha mai veramente sfruttato la presenza di Bynum, ancora lontano dalla sua forma migliore e Smith, che ha cominciato a dare punti importanti solamente da gara-4 in poi. Il crollo finale, non può però far dimenticare il dominio sotto i tabelloni, dove Andersen e Martin hanno concesso più chance ai compagni di andare a canestro, cancellando in almeno due match il duo Drew-Gasol: ci ritenteranno il prossimo anno, magari con una rosa più lunga (servono uno o due giocatori “anziani”) e qualche aggiustamento difensivo in più. Rimane ad ogni modo una grande annata, decisamente migliore della mesta uscita al primo turno nel 2008, proprio per mano di LA: hanno migliorato, ma possono fare altrettanto anche la prossima stagione.
Denver dunque va in vacanza, mentre i Lakers (lontani dal festeggiare la vittoria di Conference) volano nuovamente in California, pronti ad affrontare i Magic di Dwight Howard: il tip-off è fissato al 4 di Giugno (ore 3.00 italiane) e dopo dei PO del genere non ci si può aspettare altro che un’altra serie ricca di emozioni, soprattutto con questo Kobe versione factotum, motivato e carico a mille. Come si dice oltreoceno: [i]try to stop me baby![/i]