LA STAGIONE: (59/23) Esaltante. Difficile utilizzare altri aggettivi. I Magic, partiti tra gli outsider ad Est sono letteralmente esplosi durante la stagione finendo per vincere la Southeast Division e per chiudere la stagione regolare al terzo posto ad Est. Il meglio però doveva ancora venire, con dei playoffs vissuti ai cento all’ora, giocando un basket a tratti davvero fantastico per generosità, ricerca di soluzioni pulite e velocità d’esecuzione. Non hanno scalfito il magic moment nemmeno le dichiarazioni a playoffs in corso (poco intelligenti invero) sia di Howard che di Van Gundy sul gioco dei Magic stessi. Sta di fatto che trascinati da un [b]Howard[/b] a tratti dominante (sicuramente contro Cleveland ed in generale ad Est, mentre con i Lakers sono emersi quelli che sono ancora i suoi limiti) e da un [b]Turkoglu[/b] assolutamente fuori dal mondo per letture, qualità e sopratutto per capacità di risultare decisivo in ogni frangente della partita prescindendo spesso dal numero di punti messi a referto i Magic hanno vissuto un sogno interrotto bruscamente solo in finale dove peraltro la paventata superiorità dei Lakers è apparsa meno netta di quello che ci potesse attendere, tant’è che escluse gara 1 e gara 6 i Magic hanno sempre battagliato ad armi pari contro i gialloviola. La finale peraltro ha messo in evidenza qualche limite strutturale che i Magic si portavano a spasso da inizio anno ed a cui non sono stati in grado di sopperire come in precedenza: la [b]taglia fisica ridotta[/b] del backcourt della franchigia della Florida con [b]Bryant[/b] a cercare quasi ad ogni azione il post basso contro un [b]Lee[/b] fantastico per generosità e carattere, ma costretto perennemente a giocare contro giocatori più alti e pesanti di lui, non solo, [b]Rafer Alston[/b] non è mai, fatta eccezione per gara 3, riuscito ad essere produttivo in attacco, perdendo anche la mira da lontano, fondamentale per il sistema Magic, virtualmente privo di uomini di post basso se si esclude Howard e con un reparto esterni incapace di creare pericoli palla in mano. Infine [b]Rashard Lewis[/b], reduce da una finale di conference assolutamente di alto livello, si è trovato per la prima volta in difficoltà, difronte a due giocatori come [b]Odom[/b] e [b]Gasol[/b] in grado (sopratutto Lamar) di tenergli testa sia in post basso e capaci al contempo di corrergli dietro nelle sue frequenti gite sul perimetro. Non è un caso infatti che le cifre dell’ex Sonics siano scese in modo clamoroso (è passato dal 49 al 40% dal campo). Tutto questo però non scalfisce minimamente una stagione assolutamente esaltante, per gioco espresso, risultati ottenuti ed aspettative di partenza.
LA STELLA: Durante le finali di Conference contro i Cavs il buon [b]Dwight Howard[/b] è sembrato davvero il centro più dominante dallo [b]Shaquille O’Neal[/b] formato-Lakers. I 26 punti, conditi da 13 rimbalzi, 3 assist e quasi 1 stoppata a partita raccontano in parte (e forse meglio permette di rendere l’idea l’irreale 65% dal campo) il dominio fisico messo in scena dal [b]numero12[/b] dei Magic. Un dominio fatto di spallate, di giocatori letteralmente divelti di potenza o ridicolizzati d’agilità. Tant’è che l’unico giocatore in grado di dargli qualche grattacapo è risultato [b]Varejao[/b], che se lo è lavorato con una serie infinita di trucchetti, dalle gomitate, agli strattoni alla canotta, finendo con l’ormai consueto [i]flopping[/i]. L’impressione di dominio però è stata scalfita durante le Finals, quando il pacchetto difensivo ordito da coach Jackson ha messo in evidenza i limiti del [i]Superman[/i] dei Magic: negatogli perennemente il centro area, infatti, e raddoppiato, con i piccoli sia dal lato forte che con blitz dal lato debole, Howard non è riuscito a trovare i consueti spazi e si è spesso incaponito in conclusioni carpiate (pur avendo l’agilità, la velocità di piedi e le mani per cercare la conclusione in giro dorsale, messa in mostra raramente ma tutt’altro che disprezzabile) uno contro tre, finendo per perdere incisività e fiducia, passando così dai 14 tiri a partita della serie contro i Cavs ai circa 8 della serie contri i Lakers. Lavorare sulle letture e su una soluzione che preveda pochi palleggi, magari cercando il fondo e non il centro area saranno i must della sua estate. Anche mettere a freno la lingua(sia con la stampa che con gli arbitri, come dimostrano i problemi con i tecnici evidenziati nel corso dei playoffs) potrebbe aiutarlo parecchio. Giova ricordare che in ogni caso si parla di un quinto anno che non ha fatto il college, che se dal punto di vista dello sviluppo tecnico è senza ombra di dubbio un minus, dall’altro deve far riflettere: avesse completato l’intera trafila universitaria staremmo parlando di un rookie.
LA SORPRESA: Difficile. Difficile non parlare di [b]Courtney Lee[/b], del suo coraggio, della sua durezza nel giocare con il naso appena operato (gentile omaggio dei gomiti un po’ troppo largi di Howard), della sua difesa contro Igoudala, James e Bryant. Sicuramente sottodimensionato per il ruolo, con poco ballhandling, ma con un carattere che fa passare in subordine qualsiasi limite sul piano tecnico. Se però parliamo di sorpresa a tutto tondo non si possono ignorare i playoffs di [b]Hedo Turkoglu[/b] perchè che fosse un buonissimo giocatore lo sapevano tutti, ma che potesse ergersi a clutch player di un team che va parecchio vicino a vincere un titolo NBA forse nessuno era disposto nemmeno a crederlo. Che potesse toccare vette di rendimento così alte, dopo 9 anni tra i pro ed il sospetto che il meglio lo avesse lasciato alle spalle, ha francamente sorpreso un po’ tutti. La sua partenza peraltro lascerà un vuoto difficile da colmare per i Magic. Infine non si può ignorare l’esplosione di [b]Mickael Pietrus[/b], magari non esattamente il giocatore con il maggior IQ cestistico del globo, ma un tremendo tiratore oltre che difensore di altissimo livello, che ha dato ai Magic quell’esterno (che spesso finiva per giocare più minuti del titolare stesso) in grado di dare una scossa uscendo dalla panca. Un pezzo importante di quest’annata dei Magic è da ascrivere anche a lui.
LA DELUSIONE: Quando una squadra vive annate come queste è difficile trovare una delusione. Andiamo con [b]J.J. Redick[/b], sparito dalle rotazioni quando il tasso fisico della contesa è salito troppo verso l’alto, l’ex Duke sembra un giocatore che in Europa potrebbe fare onde: gran tiro, discreto ballhandling, buona comprensione del gioco. Peccato per un atletismo (in tutti i sensi, non solo in verticale) tutt’altro che di livello, anche minimo.
DRAFT: [b]Niente da segnalare[/b]. I Magic infatti hanno ceduto la loro prima scelta 2009 a Memphis nello scambio a tre che ha portato in Florida Rafer Alston.
MERCATO: Paradossalmente la pagina più corposa dell’estate Magic. Di solito una squadra che convince tanto non si cambia, invece Orlando non solo è cambiata, ma si potrebbe dire che è stata addirittura rifondata. Lasciato partire (perchè le firme di [b]Bass[/b] e [b]Gortat[/b] confermano che i soldi per tenerlo c’erano) [b]Hedo Turkoglu[/b], un po’ playmaker, un po’ guardia, un po’ ala di questi Magic, la dirigenza del team ha deciso di cambiare approccio tattico alla gara, virando dallo small ball, con Lewis da ala forte ad un assetto più classico. La firma di [b]Bass[/b] infatti lascia presagire più minuti con l’assetto pesante, con Lewis da ala piccola, Bass da 4 e Howard a centro area. Non che l’ex Mavs sia un brutto giocatore: tosto, buona mano dalla media e soluzioni in avvicinamento, più di sciabola che di fioretto, prendendolo i Magic potrebbero aver pescato il classico [i]underdog[/i] in rampa di lancio. Ciò che perplime però è in primis aver lasciato partire Turkoglu ed in secondo luogo abbandonare, anche solo per pochi momenti, l’assetto che li ha condotti ai vertici. Non solo, la conferma (controvoglia visto che lui voleva andare ai Mavs di cui aveva accettato un’offerta) di Gortat ora forse da ai Magic un reparto addirittura sovrabbondante, con lui, Howard, Bass e Lewis più il guerriero [b]Ryan Anderson[/b]. L’ex Nets è arrivato nello scambio che ha portato in Florida [b]Vince Carter[/b]. Lo scambio ha visto volare nel New Jersey [b]Rafer Alston[/b], [b]Tony Battie[/b] e [b]Courtney Lee[/b] ha portato ai Magic quell’esterno in grado di fronteggiare anche a livello fisico i top player della lega, aggiungendo atletismo ed esprienza al reparto. Carter, probabilmente all’ultima chiamata in una franchigia di alto livello, avrà l’ingrato compito di dimostrarsi migliore di Turkoglu, il che, in termini di risultati, si traduce solo con il titolo NBA. Infine sono da segnalare in dirittura d’arrivo le firme dell’ex reggiano [b]C.J. Watson[/b] che andrà a giocarsi con [b]Anthony Johnson[/b] il ruolo di backup di [b]Jameer Nelson[/b] e di [b]Matt Barnes[/b] che andrà a rimpolpare la panca, dando a coach Van Gundy anche la flessibilità che è mancata quest’anno.
FUTURO: Sicuramente c’è curiosità attorno ai nuovi Magic che sono venuti fuori da quest’estate. C’è curiosità sopratutto per ciò che concerne l’assetto tattico, su come [b]Stan Van Gundy[/b] deciderà di mettere in campo i suoi, su quali modifiche al gioco deciderà di applicare, ora che il roster appare più lungo e ricco di talento rispetto allo scorso anno. Tant’è che con Carter, un esterno che ama molto giocare in post basso, le varianti saranno moltissime, sia con Lewis da ala forte, in modo da permettere a Carter ed Howard di dividersi i palloni nel pitturato, sia con Rashard impiegato da ala piccola, alla continua ricerca di miss match in grado di realizzare la conclusione più semplice. Molto indubbiamente dipenderà anche da [b]Nelson[/b] che sarà alle prese con molte più bocche da fuoco rispetto al passato e dovrà cercare il giusto equilibrio tra conclusioni personali e regia pura. In conclusione: siamo sicuri che questi nuovi Magic faranno meglio del team dello scorso anno?