LA STAGIONE: (65/17) Come definire una stagione che si conclude con il titolo NBA? Difficile, e forse nemmeno completamente sbagliato, non cadere nella retorica dei superlativi assoluti. In ogni caso i Lakers, partiti nel novero delle favorite sin dall’inizio, hanno saputo fronteggiare la pressione, parecchio alta, considerando come uscivano dalle finals contro i Celtics dell’anno precedente e gli infortuni, quello di Bynum su tutti, che ha compromesso il progetto tecnico del doppio pivot, progetto nato in ottica rivincita con i Celtics ed andato a ramengo anche a causa dell’infortunio di Garnett e dell’uscita prematura degli stessi verdi dai playoffs.
In ogni caso non è stata una cavalcata trionfale quella dei gialloviola, che come negli anni scorsi hanno patito [b]cali di tensione mentale[/b] piuttosto evidenti, come ad esempio durante la serie contro i Rockets, che hanno spesso rischiato di comprometterne il cammino e di inficiarne le qualità tecniche che li ponevano senz’altro come uno dei 2/3 team meglio attrezzati della lega.
Un problema, quello della tenuta mentale, evidenziato sin dal training camp sia da [b]coach Jackson[/b] (che con il titolo agguantato a giugno ha raggiunto quota 10, celebrati, con un non esattamente [i]cool[/i] cappellino giallo con un’enorme X nera sopra, sorpassando [b]Red Auerbach[/b] ed issandosi in solitaria in vetta nel libro dei record, come coach più vincente della storia NBA) che da Bryant e Fisher.
Se all’incapacità di mantenere lo stesso livello di concentrazione anche nel corso della stessa partita Jackson non ha saputo porre rimedio, c’è però da riconoscegli indubbi meriti, specialmente per la preparazione difensiva mostrata dai lacustri in finale nel contenere Howard (reduce da un playoffs formato monstre ad Est): rinunciando all’idea di lasciargli l’uno contro uno (troppo poco fisico Gasol, troppo lento e poco atletico Bynum) Jackson ha architettato una gabbia notevole attorno al totem dei Magic con il lungo (Gasol o Bynu appunto) a negare il centro area, il piccolo sul suo lato ad infastidirne/limitarne i palleggi ed a volte un lungo (di solito Odom) o un piccolo dal lato cieco a triplicarlo. Non solo, Gasol in particolare si è anche impegnato nel rientrare rapidamente per evitare di concedere ad Howard punti facili con la mezza transizione. Coì alla fine []Superman[/i] non ci ha letteralmente capito nulla ed i Lakers sono riusciti a limitarne enormemente l’incidenza, almeno nella metà campo offensiva.
LA STELLA: Qualcuno ha detto [b]Kobe Bryant[/b]? Coronata una stagione che gli ha finalmente dato il tanto agognato titolo NBA vinto da [i]franchise player[/i] del team, contornato dell’inevitabile premio di [b]MVP dei playoffs[/b], frutto degli oltre 30 punti 5 rimbalzi 5 assist ed 1 stoppata di media, Bryant ha finalmente raggiunto l’obbiettivo che si era prefisso sin dal giorno successivo alla cessione di Shaquille O’Neal.
Aldilà delle cifre, mostruose come al solito, quest’anno il 24 è sembrato molto più coinvolto nei destini del team: trovare compagni che nei carpiscano la fiducia è stato il segreto di questi Lakers, che come spesso accade, quando lo vedono sciorinare cifre enormi a livello relizzativo fanno una fatica boia.
In ogni caso raggiunto il titolo, e raggiunta probabilmente quella consapevolezza che nonostante la scorza dura ancora gli mancava, ora gli resta solo da lavorare su una selezione di tiro non sempre inappuntabile e spesso frutto di quella frenesia di chiudere la partita da solo che ancora, ogni tanto, si presenta. Peraltro, con i Lakers che stanno nascendo sarà fondamentale un ulteriore salto in avanti, sia in termini qualitativi che in termini quantitativi, della capacità di colpire dalla lunga distanza.
LA SORPRESA: Che avesse le molle sotto i piedi era cosa nota, che potesse ricavarsi i suoi minuti in una squadra come i Lakers molto meno. [b]Shannon Brown[/b], arrivato nello scambio che ha portato a Los Angeles anche [b]Adam Morrison[/b] in cambio di [b]Vladimir Radmanovic[/b] è riuscito grazie a dedizione difensiva e ad una faccia tosta notevole in attacco a rubacchiare minuti, specialmente ad un [b]Sasha Vujacic[/b] in crisi di tiro, imponendosi come le vera (unica?) sorpresa dei Lakers in questa stagione. Quanto il management gialloviola sia rimasto impressionato dalle sue qualità è confermato dal rinnovo estivo, biennale da 4 milioni complessivi, che ne farà una pedina sicura della panchina dei Lakers per la prossima stagione.
LA DELUSIONE: Difficile non puntare il dito contro [b]Andrew Bynum[/b] nonostante tutte le attenuanti del caso. Rinnovato la scorsa estate a cifre da top player (dai 12.5 milioni del prossimo anno si vola fino agli oltre 16 che gli verranno elargiti nella stagione 2012/2013) e partito, nel nuovo progetto Lakers dello scorso anno, tutt’altro che male l’ennesimo infortunio alle ginocchia non solo ne ha spezzato il ritmo ma lo ha restituito evidentemente menomato, dando ai Lakers un giocatore da appena 6 punti e 3 rimbalzi di media in post season. La speranza dei tifosi gialloviola è che il rientro sia stato troppo affrettato e che il giocatore incerto negli appoggi, titubante nelle conclusioni ma sopratutto svagato in campo sia solo frutto di una condizione fisica approssimativa. In ogni caso avrà tanto da lavorare in estate, e non solo dal punto di vista fisico, l’assurda tendenza a fare falli (contro i Magic, in finale, è arrivato ad oltre 4 falli in 19 minuti d’impiego medio), esplosa nei playoffs, va assolutamente limitata per esigenze sue e dei Lakers.
DRAFT: Niente da segnalare, nessuna scelta al primo giro, mentre i due giocatori selezionati al secondo giro, Patrick Beverly, point guard locale (ha giocato ad UCLA) e Chinemelu Elonu, difficlmente troveranno posto nel roster del prossimo anno.
MERCATO: Movimentato come era tutto sommato nelle attese. Partito [b]Ariza[/b] che è andato a Houston a monetizzare gli splendidi playoffs disputati, è arrivato, in una sorta di scambio, [b]Ron Artest[/b], tanto per tenere tranquillo lo spogliatoio. L’ex Pacers e Rockets andrà ad occupare lo spot di ala piccola titolare, portando in dote l’aggressività, la difesa e la tecnica messa in mostra in questi anni. Da testare sarà non solo l’apporto tecnico, visto che con Bryant, Gasol e Bynum aggiungere un altro giocatore che tira poco e male dall’arco e che ama gli isolamenti in post basso potrebbe portare ad un congestionamento del gioco in area, ma anche quello caratteriale, visto che Artest si dovrà inserire in uno spogliatoio dove Bryant (con cui peraltro ha avuto storie tese durante i playoffs) è sostanzialmente il re e tutti gli altri sono i sudditi.
L’altro [i]caso di mercato[/i], per quel che riguarda i Lakers, è quello che riguarda [b]Lamar Odom[/b]. L’ala newyorkese, alla ricerca dell’ultimo contratto importante della sua carriera, si trova in una situazione poco piacevole: rotte o quasi le trattative con i Lakers, irritati (nella persona di [b]Jerry Buss[/b], l’owner) dai suoi tentennamenti, gli resta un’offerta, più bassa come salario annuo ma più lunga come estensione temporale, da parte dei [b]Miami Heat[/b], che con [b]Wade[/b] stanno mettendo in opera un forte corteggiamento su di lui. D’altro canto lasciare una franchigia che concorre per il titolo per una che difficilmente potrà issarsi, a breve, a quei livelli, per guadagnare addirittura meno (almeno a livello di salario annuo) non sembra stuzzicare molto Odom che infatti sta provando a riallacciare i fili della trattativa con i Lakers. D’altro canto è palese come l’eventuale partenza di Odom sarebbe un brutto colpo per i gialloviola: la sua capacità di aprire il campo giocando da ala forte, permettendo a Bryant e Gasol di avere un post basso più pulito, la sua capacità di aprire immediatamente il contropiede e la sua atipicità non hanno omologhi in NBA. In sostanza un comprimario troppo importante da lasciar andare, dalla sua conferma passeranno peraltro molto del futuro dei Lakers.
FUTURO: Come detto molto dipenderà dalla permanenza o meno di Odom, perchè aldilà delle indubbie qualità un suo eventuale addio ridurrebbe il pacchetto lunghi gialloviola a Bynum, Gasol, Josh Powell e Didier Ilunga-Mbenga con ipotetiche puntate in ala forte di Artest e Walton. Una situazione difficile da gestire, sopratutto in ottica post-season quando Mbenga non vedrà, come normale, il campo e quando Powell sarà, eventualmente, chiamato a dimostrarsi giocatore affidabile. Accanto a tutto questo ci sarà da lavorare all’inserimento nei meccanismi offensivi di Artest, cercando di capire quanto ancora possa giocare Fisher e come sopperire ad una carenza di tiratori che sembra evidente(soprattuto alla luce del fatto che Adam Morrison sembra sgradito al coaching staff), sopratutto in quello che sembra essere lo starring five. In ogni caso parliamo della franchigia campione NBA, allenata da quello che è unanimamente ritenuto come uno dei migliori allenatori della storia. Un pizzico di ottimismo è quantomeno dovuto.