Noi italiani siamo un popolo particolare.
Se le cose non vanno come vorremmo noi, non ce la prendiamo, l’importante è trovare una scusa plausibile, o un colpevole, che giustifichi il diverso andamento della realtà rispetto ai nostri desideri.
Diciamo che sull’esito finale delle scorse Finals avevo una leggera predilezione verso la soluzione che contemplasse bianco verdi e anelli nella stessa frase; la realtà è stata dolorosamente diversa, ma quello che è più terribile è il non avere nessuna scusa da accampare o colpevole con cui prendermela.
Boston è stata fantastica, molto al di sopra di quanto fosse lecito aspettarsi. Per lunghi tratti ci ha fatto credere che ci fosse una serie, addirittura di poterla vincere, dando sempre TUTTO quello che aveva. Quindi non gli si può dare nessuna colpa.
L’altro classico bersaglio sono gli arbitri: gli uomini in grigio si sono trovati davanti una serie decisamente ostica da decifrare, molto fisica, tesa, agonistica. Basti pensare al breve match di pancrazio fra Pierce e Artest alla prima azione di gara 1. Nelle prime due gare l’arbitraggio è stato particolarmente severo, e sono dovute arrivare le pronte indicazioni dalla Torre di NY, che chiedevano di lasciar giocare di più i giocatori a vantaggio dello spettacolo, indicazione direi recepita dalla terna arbitrale. In ogni caso non si può parlare di arbitraggio di parte, o di particolari sviste, di certo niente che abbia inciso sul risultato finale.
Il fattore “S”, che ha portato all’infortunio di Perkins e alla sua esclusione dalle ultime due partite della serie (dopo che il lungo dei C’s aveva combattuto per 5 gare contro lo spettro della sospensione da fallo tecnico), ha sicuramente afflitto Boston, ma la cosa va più o meno a pari con il lungo degente di LA, Bynum, che si è trascinato col suo ginocchio grande come un’anguria per 7 gare.
Infine non si può nemmeno biasimare la sorte: alla fine ha vinto la squadra più forte, quindi non è accettabile nessuna protesta da “destino ingiusto”.
Già, perché i Lakers erano decisamente più forti. Una serie di miracoli, un eccezionale allenatore difensivo, e il collettivo più solido e maturo della lega ci ha convinti che si potesse giocare, ma analizzando a mente fredda la cosa, era pia illusione.
Kobe oggi è [b]il miglior giocatore della lega[/b], con buona pace di tutti gli altri. Il più decisivo, il più duro mentalmente. Quello che a mio parere è sempre stato il suo limite, ovvero un ego ipertrofico oltre i livelli della malattia mentale, sembra aver trovato grazie alla maturità un po’ di pace (o almeno una possibilità di coesistenza col resto del mondo). La sua gara 7 credo ne sia una prova. Ha tirato tanto, e male, ma più per dare coraggio ed esempio ai suoi, che non per la solita ostinazione e spirito polemico. Ha comunque segnato all’inizio del quarto quarto, riportando i suoi a contatto, mentre per il resto della partita, visto che non riusciva letteralmente a metterla nell’oceano, si è concentrato soprattutto sui rimbalzi (15), categoria che di solito non lo vede eccellere, ma che alla fine è stata l’elemento che ha deciso una gara tesissima e molto equilibrata. Come avevo detto di Pierce tre anni fa per la sua prova difensiva su Bryant in finale: il campione nel momento di massima necessità sa capire cosa serve di più alla squadra e, indipendentemente dalle sue caratteristiche fisiche e tecniche, LO FA.
Però, cosa impensabile solo l’anno scorso, ha avuto la capacità di fare un passo indietro nel finale, fidandosi dei compagni (la tripla di Fisher, poi quella di Artest, i liberi di Vuiacich) e permettendo loro di aiutarlo a vincere dove da solo, vista la serataccia al tiro, non sarebbe riuscito.
Al suo fianco Gasol che, se non fosse stato per due prove imbarazzanti a Beantown, avrebbe potuto legittimamente ambire al titolo di MVP delle Finals. Si è comunque ampiamente fatto perdonare nelle ultime due gare (ovvero quando contava!), dimostrando che oggi è senza dubbio il miglior centro della lega. Un dominio fisico e tecnico su due lati del campo. Se ha voglia (e ormai ce l’ha quasi sempre), con lui non si negozia.
Infine, oltre ad un Fisher per il quale, visto l’abbondante numero di miracoli praticati, è stato aperto il processo di beatificazione, l’altro grande fattore è stato Artest. Lui e il triangolo offensivo, anche a un anno di distanza, hanno pochi argomenti di conversazione. Come ho già avuto modo di dire, lui non gioca a basket, ma a Palla Artest, gioco che casualmente condivide alcune regole con la pallacanestro (ma anche altre col sumo, per dire!), ma è fondamentalmente altro. Questo altro però ha salvato i Lakers nel secondo quarto di gara 7 (12 punti in un momento in cui i punti sul tabellone della squadra di casa non li metteva nemmeno il Dottor House), quando giocando da solo ha tenuto i suoi a contatto, così come la sua tripla nel finale, che pur non potendo candidarsi a figlia legittima del più puro attacco a triangolo, ha consegnato l’anello ai suoi. Per non parlare di una difesa oltre i limiti dell’immaginabile su Pierce.
Vedendo il Capitano trasfigurato mentre cercava senza successo di liberarsi del suo aguzzino, mi sono reso ancora più conto di cosa sia Kobe: al di là di raddoppi, zone o trappole, parliamo di un giocatore che da 10 anni ne mette 30 a sera pur avendo normalmente addosso quando conta gente tipo Artest, Bowen, Christie, Bell, Sefolosha: non proprio una cosa da tutti…
Chiudendo il discorso su Artest, un minimo di mea culpa: pensavo che lo scambio (virtuale, in realtà) fra lui e Ariza sarebbe stato ininfluente, se non addirittura penalizzante per i Lakers; direi che i fatti mi hanno abbondantemente smentito…
[b]Pride[/b]
Mentre le dita mi scivolano sulla tastiera irrorata di lacrime (sì gente, in gara 7 a più 13 nel terzo quarto, io ci avevo creduto…), vorrei dedicare due parole a questa squadra. Arrivando io con un certo ritardo rispetto all’attualità, molto è già stato detto, quindi vorrei concentrarmi su un solo momento, a mio personale parere uno dei più belli dell’ultima decade di basket.
Premetto che la pallacanestro per me è LO sport di squadra. Da qui il grande amore per i playmaker (Stockton in primis), e l’odio viscerale per i Jordan, o i Kobe, che come spirito ne sono l’antitesi.
Fatta questa premessa, potete immaginare la gioia nel vedere quella partita, la classe operaia che va in paradiso. Ma la cosa migliore è che il termine “classe operaia” non è riferito solo agli strabilianti Davis, Allen (Tony), Robinson, Wallace, ma all’intera squadra.
Da una parte abbiamo un terzo quarto del giocatore più dominante di oggi, KB24, capace di mettere 19 punti in un quarto, con 5 uomini assetati di sangue che lo braccano (e non in maniera impulsiva, ma secondo le regole della più organizzata e spietata difesa della lega), e 4 compagni completamente nel pallone, congelati nel ruolo di spettatori increduli. I tiri di Kobe semplicemente non avrebbero dovuto entrare, e invece andavano dentro, implacabilmente. Qualsiasi altra squadra si sarebbe sciolta (chessò, mi vengono in mente i Magic dello scorso anno, o i Mavs di fronte a performance analoghe di Wade in finale nel 2006), perché vedi che hai di fronte un avversario onnipotente, che sai che segnerà sempre, azione dopo azione, indipendentemente da quello che fai, e allora la palla in attacco comincia a pesare, perché sai che quello non ti perdona niente. E inizi a sbagliare (dicesi: “previsione auto avverante”).
A Boston invece i ragazzi (!?) restano calmi, niente panico, si risponde colpo su colpo, prodezza su prodezza, mantenendo inalterato il vantaggio.
Poi inizia l’ultimo quarto, e c’è necessità di far rifiatare i vecchietti, così Rivers dà spazio ai panchinari. Il talento è poco, l’esperienza modesta, l’avversario molto forte, ma le seconde linee non arretrano di un millimetro, e minuto dopo minuto mantengono il distacco nel punteggio.
A quel punto, l’episodio da libro cuore: Coach Rivers a 6-7 minuti dalla fine si trova davanti ad una situazione veramente imbarazzante: vado avanti con la squadra dei titolari, esperienza, sicurezze, affidabilità, talento, ma anche ego e diritti acquisiti da rispettare, oppure continuo con la banda di pirati che sta dando l’anima e giocando in maniera sublime? Per qualsiasi altra squadra NBA (lega di giocatori e di stelle, giova ricordarlo) il problema non si sarebbe posto, dentro le stelle e non si discute.
Perfino Gentry a Phoenix, nella partita stratosferica di Dragic contro SanAntonio, aveva tenuto in campo nel finale il ragazzo prodigio, ma aveva comunque rimesso gli altri titolari, non ostante i meriti innegabili dei panchinari in campo con Dragic.
A Boston no. Rivers conferma i giocatori in campo, loro lo ripagano continuando a giocare bene, ma soprattutto i titolari in panchina si comportano da squadra: nessun lamento, nessuna faccia in protesta, anzi fanno un tifo esagerato per i compagni in campo.
Passa il tempo, arriviamo agli ultimi due minuti; i Lakers si sono comunque fatti vicini, la partita si tende, si va al fallo sistematico. Rivers chiama i cambi, rimette i titolari, che entrano e fanno il loro lavoro, ovvero forti della loro esperienza e maggior talento chiudono la partita con gli ultimi canestri (Pierce e Rondo) e mettendo i liberi decisivi (Allen). Gli eroi della panchina escono, nessuno si lamenta di un’ingiustizia subita, ma si mettono a bordo campo a incitare i compagni.
Morale: l’atteggiamento di TUTTI i giocatori bianco verdi è stato: non mi interessa quanto e quando gioco, io voglio solo che la squadra vinca. Io faccio alcune cose meglio di altri, quando per vincere servono queste cose, vado in campo e le faccio, altrimenti incito il mio compagno che fa altre cose meglio di me.
UNA SQUADRA.
[b]Del doman, non vi è certezza[/b]
L’altra doverosa considerazione sui bianco verdi riguarda invece il loro futuro; Allen è free agent, così come Pierce. L’occasione della vita è andata. Cosa facciamo di questa squadra?
Allen ha detto di voler restare e riprovarci, ma la cosa non è così semplice. A 34 anni, il meglio è già andato, i 20mln presi questa stagione sono un ricordo, ma un giocatore col suo pedigree può comunque accasarsi presso una contender e chiedere 7-8 mln, forse perfino 10. Boston, con un monte salari non così brillante vorrebbe dargli qualcosa meno, diciamo fra i 5 e i 7. Ma al di là della cifra in sé, c’è il problema del confronto: andare in una nuova squadra a giocare per 8mln e puntare al titolo è un conto. Stare invece in quella che tu hai già aiutato a vincere, che a febbraio ha fatto di tutto per scambiarti, che probabilmente non competerà più per l’anello, e nella quale giocano i tuoi due parigrado, che però prendono il doppio di te, è un altro discorso. Tutt’altro che scontata quindi una sua riconferma.
Diverso il discorso di Pierce, che è uscito prima dal suo contratto solo per avere la possibilità di rinegoziare un contratto, magari un po’ più basso, ma pluriennale, e sistemarsi prima che entri in vigore il nuovo accordo lega-giocatori, che sarà sicuramente penalizzante (sentito parlare della crisi globale?).
Anche dando per buona la riconferma di entrambi, questo gruppo ha ancora qualcosa da dare in ottica titolo? I vecchietti possono incidere ancora?
L’altro giorno, guardando uno degli elenchi di free agent 2010 che impestano la rete in questi giorni, ho letto una cosa che mi ha fatto sobbalzare.
Pierce è un vecchio decrepito, pronto per l’ospizio.
Anni? 32.
Wade è un giovane rampante, pronto finalmente a dimostrare alla lega tutto il suo valore e dominarla per la prossima decade (specie se riesce a convolare a giuste nozze con una o più altre stelle).
Anni? 28.
E’ vero che 4 anni non sono pochi, ma forse l’idea che abbiamo di Pierce con ottuagenario è forse un tantino esagerata. Tanto più che il gioco dell’angeleno non si è mai basato più di tanto sui mezzi fisici (è il giocatore più lento fra i giocatori di oggi?). Personalmente la fatica fatta contro l’ottimo Artest in finale, e i 3 tiri sul primo ferro per vincere gara 4 contro i Magic mi hanno dato l’impressione di un giocatore in declino, in difficoltà fisica, però forse l’ospizio può aspettare ancora un anno o due.
Garnett è chiaramente in amministrazione controllata (come lo Shaq di Miami, per capirci). In finale ha giocato in attacco in maniera divina, facendoci rivedere il Garnett dei tempi belli (alley hoop, giro e tiro, movimenti in post basso, passo e incrocio, etc). E’ però evidente che riserva queste cose per quando ce n’è assoluto bisogno (mai visto fare un qualche movimento dominante in regular season…). E se l’attacco, amministrandosi, riesce ancora a garantirlo quando serve, e la difesa pur non essendo quella di un tempo è ancora di livello, il calo drammatico si è visto nei rimbalzi.
Ovvero, guarda caso, la voce che ha più a che fare con la prestanza fisica. Poco più di 5 rimbalzi a partita in finale. Per uno che viaggiava su medie di 12-13 su base stagionale. Per di più in una finale dove i rimbalzi sono stati determinanti. In gara 7, vinta di 4 punti dai Lakers che hanno tirato malissimo, grazie soprattutto al dominio 53 a 40 a rimbalzo. Un Garnett da 18 rimbalzi (come ha fatto ad esempio Gasol) avrebbe probabilmente fatto la differenza fra un titolo e una delusione.
Un Rondo in esplosione potrà pagare la cauzione per la prossima regular season, diventando protagonista dell’attacco, Davis si è guadagnato il diritto a più minuti, per dare fiato a Garnett (per quanto il gioco di grande intensità e poco talento di Big Baby sia molto più adatto ai PO che alla RS…) Sheed probabilmente si ritira, ma già si parla di una possibile sostituzione con Shaq: diciamo che con la riconferma di Pierce e Allen (possibilmente tutti e due gli Allen), e un buon lungo veterano come cambio, i Celtics potrebbero alla fine riconfermarsi sui livelli di quest’anno. Il problema è il contesto: i Lakers continueranno a essere più forti, ma soprattutto nella Eestern ci saranno le due nuove corazzate guidate da James e Wade (o un’unica inaffondabile portaerei con entrambi) a dettar legge (e magari anche dei Magic con l’aggiunta di Paul?).
Vedremo, ma temo che il 18° titolo sia ormai lontanissimo.
La finestra di una squadra incredibile si chiude qui, con un titolo vinto, uno sfiorato, e uno per il quale non si è potuto realmente competere per gli infortuni. Forse questo gruppo (o parte di esso) giocherà ancora insieme 2 o 3 anni, ma la magia di questi Celtics si esaurisce definitivamente con questa maledetta gara 7.
Ainge e i Celtics comunque hanno segnato un trend, che insegna a GM e giocatori che la stella singola non basta più, che per vincere è necessario essere almeno in tre, e che i sacrifici in termini economici e di ego possono pagare. Guarda caso infatti non si parla di dove vanno James o Wade quest’estate, ma di dove vanno e CON CHI.
Un saluto per il momento, onore ai vinti e congratulazioni ai meritati vincitori, magari ci sentiamo a fine mercato, per parlare insieme della nuova faccia della NBA post 2010. Certo, sarebbe il quinto NMTPG in poco più di 3 mesi, un record storico…
Vae Victis