20 punti, 5 recuperi e 4 assist nell’ultima trasferta vittoriosa di Cremona. Ma anche 15 punti di media dall’inizio del campionato (primo per distacco tra gli italiani ed undicesimo assoluto), con il 67 % al tiro da due, 2.7 rimbalzi, 3.3 assist, 3.2 palle recuperate e 6.4 falli subiti (primo assoluto in queste ultime due statistiche). Ma anche quasi venti punti di media nelle ultime cinque partite, con il maggior minutaggio tra i suoi, segno inequivocabile di una leadership acquisita sul campo ed ormai palesemente sotto gli occhi di tutti. Ed ancora: baluardo difensivo, puntualmente dirottato da Dal Monte sull’esterno più pericoloso degli avversari, nonché punto di riferimento dei compagni di squadra, vista anche la sua “pesaresità” innegabile.
Tutti questi sono dati che possono far ritenere che finalmente per Daniel Hackett sia arrivato il momento di lasciare un segno nella storia del campionato italiano, dando l’avvio ad una carriera ai massimi livelli e magari anche in nazionale dove, guarda caso, ci sarebbe un po’ di vuoto nello spot di play-guardia.
Per il buon Daniel il ritorno in Italia, dopo la giovinezza trascorsa in America tra high school e college, non era stato dei più facili: dopo essere stato ignorato dal draft NBA, il figlio dell’indimenticato Rudy la stagione scorsa era giunto in casa Benetton tra squilli di tromba (ed anche un contratto piuttosto oneroso) e come alfiere del “progetto verde” con il quale avrebbe dovuto avere inizio la ricostruzione in Ghirada.
La realtà è stata ben diversa e, dopo un avvio promettente, il play nato a Forlimpopoli ma pesarese d’adozione è rimasto coinvolto nel marasma che ha caratterizzato la passata stagione nella marca trevigiana, finendo con l’essere additato addirittura come uno dei capri espiatori della fallimentare annata ed essere etichettato come giocatore clamorosamente sopravvalutato; probabilmente la sua inesperienza di basket professionistico ed il suo carattere sfrontato ed orgoglioso, che altre volte si era rivelato uno dei suoi punti di forza nella sua carriera universitaria, lo hanno anche spinto a commettere alcuni errori nella gestione dei suoi rapporti in quel di Treviso, fatto sta che a fine anno di comune accordo le strade si sono divise.
Coach Repesa non lo aveva mai visto, i rapporti con tifosi ed ambiente erano deteriorati da tempo ed anche la società era ben lieta di privarsi di un contratto pluriennale piuttosto oneroso ed una personalità rivelatasi ingombrante.
Con la tenacia e la sicurezza di sé che lo hanno sempre contraddistinto dai tempi del college, Hackett ha così deciso di tirare una riga sull’annata balorda appena trascorsa, decidendo di scommettere forte su sé stesso per rilanciarsi; rinunciando al buon contratto che aveva ancora in essere con la Benetton, Daniel si è accordato con la Scavolini Siviglia per un solo anno ad una cifra sicuramente inferiore, dopodichè ha trascorso un’estate di lavoro in America in compagnia del padre, dalla quale ne è uscito tirato a lucido fisicamente e rigenerato mentalmente.
Probabilmente la scelta di tornare nella città che l’ha visto crescere sui suoi campetti e tra gli amici d’infanzia è stata la scelta migliore che l’entourage dell’italo-americano potesse fare; non che alla notizia dell’ingaggio non ci fosse stata qualche voce discordante (lo stesso Barbalich in una recentissima dichiarazione ha affermato che qualcuno aveva criticato il suo ingaggio, definendo Hackett un giocatore da garbage-time), ma il pubblico di Pesaro non ha potuto che accogliere con una certa benevolenza il ritorno di un enfant du pays come lui, disposto a perdonargli anche qualche errore di gioventù.
Il feeling tra Daniel ed i suoi tifosi è scattato fin da subito, ma forse è giusto dire che non si è mai interrotto fin dai tempi della sua adolescenza, se è vero che l’Inferno Biancorosso ad ogni partita non perde l’occasione di ricordare che “Daniel Hackett è uno di noi”; così per il figlio di Rudy è stato quasi agevole inserirsi gradualmente nei meccanismi della squadra per poi esplodere fragorosamente nel mese di novembre, complici gli infortuni che hanno bloccato i due titolari Collins e Diaz, ma complice anche la volontà della società di dare fiducia ad italiani più o meno giovani, come testimonia lo spazio dato a Cusin, Cinciarini ed anche al baby Traini (una tendenza che forse dovrebbe essere seguita anche da altri).
Giunti a questo punto della stagione è difficile parlare di Hackett come di riserva dell’americano e del portoricano, vista la leadership che gli riconosco evidentemente sia i compagni di squadra che il pubblico; perché, come si diceva, al di là delle cifre cristalline di questa prima parte di stagione, ciò che meraviglia di Daniel è la sicurezza nei propri mezzi, l’apparente tranquillità con cui sa colpire al momento giusto, la capacità di rendersi utile sotto ogni aspetto del gioco e l’innato istinto di caricarsi la squadra sulle spalle ogniqualvolta questa incontri delle difficoltà.
Tuttavia, lungi dal volere scrivere uno stucchevole panegirico sulla guardia pesarese, occorre anche evidenziare i difetti che ancora caratterizzano il suo gioco.
La situazione di emergenza che fino ad ora è gravata sulla Scavolini Siviglia gli ha consentito di giocare a briglie sciolte e senza timore di sbagliare, tuttavia a questo punto della stagione sono ancora da verificare le sue doti di playmaking sotto pressione ed a bassi ritmi, frangenti nei quali lo scorso anno aveva palesato alcune lacune; le stesse lacune che si sono confermate in questo scorcio di stagione anche al tiro dove, al di là delle ottime percentuali da due frutto più che altro della sua potenza in penetrazione, denuncia una percentuale scadente dall’arco dei tre punti ed un rendimento alquanto ondivago dalla linea dei tiri liberi.
D’altra parte questi difetti non fanno altro che confermare che attualmente il suo ruolo è ancora un ibrido in sospeso tra lo spot di playmaker e quello di guardia; la prosecuzione della sua crescita e la sua affermazione ad un livello ancora più alto passano necessariamente attraverso una sua svolta in un senso o nell’altro, il che vuol dire ovviamente affinare con il lavoro i propri difetti ma anche decidere di calarsi definitivamente nel ruolo che più gli si confà.
Su questo si può dire che Danielino nasce fin dai tempi del college come playmaker e questa sembra la strada che il nostro sta intraprendendo; peraltro la nazionale che sta prendendo forma sotto le mani di Pianigiani avrebbe in quel ruolo un posto tutto sommato ancora vacante e che, vista la presenza dei tre tenori Belinelli, Gallinari e Bargnani, calzerebbe a pennello per un giocatore non talentuoso come i tre NBA, ma con le caratteristiche ideali per essere un ottimo complemento.
Certo che di acqua ne dovrà ancora passare sotto i ponti: in fondo siamo ancora ad inizio stagione e per raggiungere questi obiettivi per Hackett sarà necessario non solo confermarsi su questi livelli ma salire ancora uno o addirittura due gradini nella scalata verso il successo.
A tal proposito sarà interessante verificare la prestazione del buon Daniel domenica prossima, quando farà visita proprio alla corazzata senese allenata dal coach della nazionale, il quale sarà ovviamente curioso di testarein ottica azzurra i suoi progressi contro la sua macchina schiacciasassi.
In ogni caso il carattere e la voglia di lavorare al ragazzo non mancano di certo e non rimane altro da fare che aspettare: se a fine stagione il trend si sarà mantenuto in costante crescita, la nazionale italiana potrà dire di aver trovato finalmente un’altra pedina di dimensione internazionale