Il ritorno all’Air Canada Centre (scritto così, mi raccomando) di Chris Bosh non poteva che essere accolto dagli appassionati di hockey canadesi come si conviene, considerando il giocatore, oltre che ex, in qualche modo traditore. La cosa ricordo molto da vicino le nostre curve, per quanto in fatto di civiltà, non sfioriamo nemmeno da lontano quella dei fans dei Raptors. L’ex, appunto, gioca una partita assolutamente normale, quella che non ti aspetti quando per imitare gli altri 2 companeros, Bosh sfoggia la faccia delle grandi occasioni, quella che vorrebbe essere truce, aggressiva, da autentico poser del mondo hip-hop. E’ la loro cultura, alla quale per noi è davvero difficile rapportarsi, ma visti da qui invece che impaurire, i tre milionari in calzoncini corti continuano in questo senso a far genuinamente sorridere.
Il pezzo mancante – Ok lo abbiamo ripetuto all’infinito. In estate Riley stufo di avere come unico plus del vivere a Miami quello del bel tempo e delle bionde su Ocean Drive, decide che è ora di riportare ai vertici, anzi, direttamente all’anello i suoi Heat. I Celtics hanno e stanno dimostrando ad oggi che mettere insieme 3 big, con le giuste condizioni di salary cap, è possibilissimo e via allora a convincere Wade che casa sua è e sarà la Florida, meglio ancora se come compagni di giochi arrivano nell’ordine (di importanza) James e Bosh. Chi??? Si quel Bosh, quello che da solo non ti fa vincere nemmeno l’UISP, ma che però nelle intenzioni del Presidentissimo Pat ben si amalgama con gli altri 2 e con i resti del roster. Ma facciamo un passo indietro…
Dicevamo: seguire l’esempio dei Boston Celtics. Ok, facile a dirsi, meno come sempre nella pratica. Wade/Pierce, capitani di mille battaglie, restano e più o meno paragonandoli, per quanto ovviamente diversissimi, arrivano LeBron/Allen e Bosh/Garnett. Soprattutto in quest’ultimo caso il paragone vorrebbe essere davvero reale. Ma per favore…
Al di là delle considerazioni e – appunto – delle similitudini che nel caso James e Ray Allen restano puramente indicative, nemmeno come ruolo in effetti si possono accostare, il dubbio rimane su tutto il resto. Ovvero: gli altri del roster. In casa Boston l’atteggiamento, la voglia e la fame dei Big Three, fin dal famoso primissimo allenamento nella capitale italiana, ha portato tutto il resto della truppa ad un livello superiore, e ha permesso di far maturare quello che ad oggi è una delle prime 3/4 point-guards (esiste ancora questa definizione? Sissignori, e ne riparleremo a breve) della Lega. Rajon Rondo a guidare la squadra in campo, un coach come Rivers dalla panchina e soprattutto in spogliatoio: non siamo certi che Spoelstra sia in grado di fare altrettanto, ma magari mi sbaglio e l’ombra lunga e protettiva – stavolta – di Riley l’aiuterà nell’impresa eccezionale. Tutto questo non cambia la situazione nella quale Eddie House si sta dimostrando il più delle volte il giocatore più vicino a un playmaker in casa Heat, e ho detto tutto.
Tu vuò fa’ l’americano – Toronto vive ibernata come la bellissima città che ospita le vicende casalinghe dei Raptors, un torpore dal quale non si capisce come la franchigia potrà risvegliarsi. Nel sonno profondo del mattino, come quando sei tornato alle 4 di notte dopo averne passate di tutti i colori, suona sempre più spesso una dolce sveglia, “made in Italy”.
Non sono un fan di Andrea Bargnani, e magari qualcuno ha pure il coraggio di ricordarsene avendo letto qualche altro mio intervento su queste pagine. Non lo sono per l’indole, per le caratteristiche di gioco del Mago, non certo per l’italianità che rappresenta, insieme a Danilo (il più forte indubbiamente dei tre) e Marco, al di là del grande stagno. Proprio perchè il preconcetto si è insidiato in me da tempo, c’è voluta una gara come quella contro Miami per farmi ricredere. Un sentimento provvisorio che attende – ansioso – conferme e continuità. Ma al momento se qualcuno mi dicesse per l’ennesima volta che Andrea gioca “alla Nowitzki”, be’, dovrò credergli. Anzi aggiungo: meglio di Nowitzki! Non ho visto chiaramente come nessuno di voi tutte le gare di Bargnani da quando è entrato con la chiamata n° 1 ad oggi nella NBA, ma abbastanza per dire che il 7 piedi romano ha messo sù un repertorio offensivo formidabile. Da quando non si accontenta solo del tiro da tre punti (come per qualsiasi giocatore che vuole essere una concreta minaccia offensiva) ma ha aggiunto una “finta-palleggio-arresto e tiro” che va assolutamente rispettato, e un minimo di gioco interno, il nostro è diventato un attaccante formidabile, considerazione, per le premesse di cui sopra, che va ben oltre le semplici statistiche, quotidianamente onorevoli per l’unico vero appiglio offensivo dei derelitti Raptors. Rimane tutto il resto, la non-difesa e i pochissimi rimbalzi in primis, ma se a “loro” basta questo… “siente a me, chi t’ ho fa fa?”
Note a margine
- “10 + 4…15!” Questa la performance del Bonfa tale da rovinare una telecronaca per la prima volta in stagione vicina alla decenza. Povero Pessina….
- Miami, coinvolta dall’aria sonnecchiante di Toronto, porta a casa una W senza spingere mai sull’accelleratore. Saranno certamente altre le prove, ben più difficili da superare, per Wade&Co.
Andrea Pontremoli