Ragazzi dobbiamo metterci d’accordo. E’ fondamentale a questo punto. Oppure no…Oppure semplicemente lasciamo che LeBron James giustifichi da solo il suo approdo in Florida della scorsa estate, provando ad arrivare a quell’anello tutt’ora inseguito con ferocia e, diciamolo, a modo suo. E qui mi rivolgo anche ai cari (e bravissimi, per carità) telecronisti SKY: lo stile di gioco di James è questo, e quindi non può essere di volta in volta criticato o esaltato se le cose vanno bene o male, al 48° minuto. Il LeBron che ferma la palla, che gioca isolato dal resto della squadra, che segna solo dopo infrazione di passi (e Wade allora? E Kobe?), che dovrebbe spendere qualche minuto in più in post-basso o giocando senza palla sul lato debole…sono cose che – perdonerete l’immodestia – vedo anche io, da quando il “Re” è entrato nella Lega. Ma questo gioca così. E alla fine vince questa gara 2 proprio a modo suo! Non sarà il massimo esponente del “play the right way” di Browniana memoria, sono il primo a riconoscerlo, ma per capire chi ha effettivamente ragione tocca aspettare ancora un po’, diciamo Giugno…
Il tassello mancante – Spoelstra ha cercato per tutta la stagione il lungo ideale da affiancare a Bosh. Non serviva reperirlo sul mercato (come il vecchio Ilgauskas) o inventarsi chissà quali quintetti, tipo con James da 4, opzione come detto non sottoscritta dal diretto interessato, per quanto affascinante per fans e addetti ai lavori. Potrebbe invece andare come nel 2006, se la memoria non mi inganna, con lo stesso co-protagonista, quello che più ha inciso, dopo Wade (e più di Shaq) sulla rimonta ai danni dei Dallas Mavs. Nella lista infortunati gli Heat avevano già quello che faceva per loro: Udonis Haslem si è finalmente tolto la tuta, dopo essersela infilata al posto del gessato, indossato per praticamente tutta la regular season, ed ha dimostrato in gara 2 che quello che mancava a Miami veste ancora la canotta n° 40. La sua dinamicità si sposa bene con il resto del quintetto e il suo tiro dalla media distanza rimane tutt’ora da rispettare, anche se il post-alto deve spesso essere lasciato libero per le incursioni di James, rimane il mezzo angolo dal quale Haslem ha un jump assolutamente mortifero. Che il suo recupero possa spostare l’intera serie e non solo questa gara 2 (nella quale colleziona 13 punti in 23 minuti)? Non scommetterei contro questa ipotesi!
Continuità – E’ quella che ragionevolmente manca a questi Bulls, anche se il cammino perentorio nella stagione regolare non ha dato questo verdetto. Ma i playoffs, lo sappiamo, sono un altro gioco. Il dominio a rimbalzo offensivo del primo tempo ha una spiegazione abbastanza semplice: la difesa di Miami è talmente impaurita dalla possibilità di far entrare in vernice Rose che manda sempre il lungo coinvolto difensivamente nel pick’n’roll, non solo a fare lo “show” di ordinanza, ma a raddoppiare l’MVP anche a 7-8 metri dal canestro. Siccome poi il n° 1 rossonero sa anche darla via questa benedetta palla, sui tiri generati dai suoi scarichi la difesa degli Heat non è mai ben posizionata a rimbalzo. Nonostante questo dominio iniziale e un Luol Deng in assoluto spolvero (suo anche un canestro da centrocampo sulla sirena del 1° quarto) Chicago non riesce ad allungare, la partita rimane punto a punto e quando Miami aggiusta qualcosa sotto il suo tabellone, i giochi sono fatti. Wade riesce finalmente a scattare in contropiede perchè i suoi compagni sotto le plance riescono a servirlo con un’apertura molto più rapida, dopo aver chiuso a chiave la propria area, e nel finale – come detto in apertura – ci pensa LeBron James. La palla è sempre ferma, il palleggio in “punta” insistito, ma il risultato – ehm, sarebbe sempre quello che conta, alla fine – sono spesso 2/3 punti per gli Heat. Riscattata una deludente gara 1, James chiude con 29 punti, 10 rimbalzi e 5 assist, abbastanza per ribaltare il fattore campo, che ora sorride a Miami. Si andrà proprio in Florida per le gare 3 e 4, con i Bulls che dovranno confermare la capacità di vincere in trasferta, strappando almeno una W e riequilibrando così le sorti della serie, mantenendo così vive le possibilità (per nulla svanite, sia chiaro) di tornare alle Finals dopo l’ultima apparizione del 1998.
Andrea Pontremoli