Avete notato anche voi una curiosa simmetria tra le due finali di conference?
Proviamo a ripercorrere brevemente i punti di contatto fra le due serie.
Da entrambe le parti una squadra di veterani affrontava una squadra di esordienti (o comunque molto giovani), del tutto inattesi a quel livello già in questa stagione.
Stesso esito come punteggio finale, 4 a 1, sempre a vantaggio della squadra più navigata.
Per altro, il 4 a 1 è stato conseguito in entrambi i casi con uno split (1 a 1) delle prime due gare, e poi la vincente ha conquistato le tre successive, dando in ogni partita l’impressione di andare sotto, e poi rimontando e vincendo nel finale.
In entrambe le serie, c’è stato un unico overtime, in gara quattro, forzato e poi vinto dalla squadra in rimonta.
In entrambe le serie era giocata al meglio una meta campo e in visibile affanno l’altra: la difesa è stato l’elemento dominante nella serie dell’est, l’attacco in quella dell’ovest.
Andando più sul banale, le squadre che si affrontavano avevano le maglie dello stesso colore: rosso (con possibilità anche di nero come seconda maglia) per l’est, l’azzurro per l’ovest.
Tutto questo ovviamente non ha alcuna motivazione o conseguenza tecnica, ma mi pareva oltremodo curiosa la fila di coincidenze …
[b]Dallas – Oklahoma City: 4 – 1[/b]
Una bella serie, le due squadre hanno giocato bene, è stata molto più combattuta di quanto direbbe il risultato finale. Da ricordare in positivo, le ottime performance di Harden, ormai completamente sbocciato, e per lunghi tratti determinante, soprattutto nella difficile gara 5 in trasferta; così come la difesa al limite del commuovente di Collison su Nowitzki: di rado si è visto qualcuno difendere meglio, e ottenere risultati peggiori. Buona anche la performance di Minor. Chi invece ha stradeluso è stato Westbrook. Sia chiaro, ha fatto giocate meravigliose, e per alcuni tratti il suo atletismo è parso non trovare antidoto tra le fila dei Texani. Nel complesso però è sembrato incapace di trovare il suo ruolo nella serie e, ancora peggio, nella squadra: dava l’impressione di voler essere lui “the man” per i Thunder, e ha relegato ad un ruolo secondario Durant. Il buon Kevin può aver la colpa (insieme a coach Brooks) di non aver alzato la voce abbastanza (durante le partite, e tra l’una e l’altra), chiedendo più palloni, ma alla fine se la palla è in mano a Westbrook e questi non gliela dà, non è che lui possa farci molto. Soprattutto negli ultimi quarti, con l’attacco dei Thunder visibilmente in affanno e i Mavs in rimonta, Durant è rimasto spesso fuori dalla linea da 3, immobile, aspettando una palla che mai s’è vista, perché il numero 0 si ostinava a fare cornate con la difesa di Dallas, forzando entrate o tiri dalla media che raramente andavano a buon fine. La cosa si era già vista nella serie precedente, ed evidentemente gli equilibri di spogliatoio erano troppo delicati per poterla correggere in corsa: Westbrook è un pezzo importante del futuro dei Thunder, e ribadirgli troppo apertamente l’ovvio (ovvero che la stella di OKC è Durant, e non lui) poteva essere controproducente per il futuro. Il ragazzo è molto giovane (23 anni), e forse un po’ di tempo, e magari un allenatore più carismatico del pur volenteroso Brooks, potrebbero rimetterlo in carreggiata senza grossi danni.
Per quanto riguarda Dallas invece mi sembra basti una sola parola per descrivere la loro serie e in generale i loro playoffs: consapevolezza.
Dallas non è sensibilmente più forte di una qualunque delle precedenti 5 edizioni: con l’esclusione del pur importante Chandler, la squadra è quella, o comunque comparabile come talento a disposizione e indirizzo tecnico. Quello che fa veramente la differenza è la determinazione di questi giocatori, la consapevolezza (appunto) della loro forza. Vincere nei playoffs, in rimonta, contro squadre sicuramente forti, e farlo in maniera perentoria (4-1, 4-0 e 4-1) è una cosa che richiede di conoscere perfettamente i propri limiti, ma anche sapere cosa si è in grado di fare.
E se tutto questo vale per Dallas come squadra, a maggior ragione vale per la sua bandiera, un Nowitzki al suo meglio di sempre, che finalmente gioca gli ultimi possessi come un MVP, come uno che sa che è più forte del suo avversario, e che quindi è destinato a vincere. Il lavoro in post alto, con il perno, le finte, le virate, e quel caratteristico tiro cadendo indietro, sollevando la gamba a mo’ di contrappeso, con una parabola infinita che, unitamente ai centimetri del tedesco, rende la sua conclusione virtualmente instoppabile.
[b]Miami – Chicago: 4 – 1[/b]
A differenza dell’altra, questa serie è stata onestamente bruttina. Troppo forti le due difese, ma anche troppo estemporanei gli attacchi. Si è trattato sostanzialmente di pancrazio a squadre, di atleti da fumetto che sembravano partecipare a un torneo di sumo …
Tante, tante botte, molte perdonate dagli arbitri, altre doverosamente sanzionate con un mare di liberi. Guardando la partita a me sembrava mancasse il fiato immedesimandomi in Rose, o in Wade, mentre tentavano di arrivare al ferro, in rigoroso 1 vs 5. Il tiro da fuori non è quasi mai funzionato, e non ostante qualche giocata da highlights, per lo più si è visto un brutto gioco, due brutti attacchi già di loro in difficoltà, strangolati da due difese fisiche, organizzate e feroci.
Il giudizio sulla stagione di Chicago è quello già espresso alla fine del turno precedente: hanno il miglior allenatore del momento, un Rose eccezionale sia come realizzatore (più adatto ai finali di partita) che come costruttore di gioco (come sarebbe meglio giocasse per i primi ¾ ), e un Noah anima della difesa e leader emotivo (pure troppo!) del gruppo. Si aggiungano giocatori di secondo piano ma di grande pregio, in primis Taj Gibson, ma anche Brewer, Korver, Watson, e l’immortale Kurt Thomas. Chi invece desta sospetti sono Boozer e Deng: entrambi dotati di grande potenziale, ottime basi tecniche, ma totale assenza di continuità. Uno dei due puoi tollerarlo, ma due insieme come seconda e terza opzione della squadra sono ingestibili. Non a caso le migliori prestazioni dei Bulls (e di Rose) di questi PO sono arrivate proprio in quelle partite in cui almeno uno dei due è stato un fattore. Quale dei due scambiare è difficile dirlo: Boozer ha giocato peggio in questi PO, ma ha l’attenuante di essere nuovo (e di aver giocato solo mezza stagione causa infortunio). Deng invece ormai è in questo gruppo e in questa lega da abbastanza tempo per non lasciare più spazio a grandi speranze. Probabilmente il suo ruolo corretto è di sesto uomo, da far entrare per provare a dare energia: si apre la confezione, e si vede se per questa volta c’è la sorpresa. Io sinceramente non mi porrei il problema di scegliere quale, scambierei quello per il quale riesco ad avere il giocatore migliore. Ammesso che siano scambiabili. E per un giocatore migliore.
Su Miami c’è da fare un’ammissione: l’idea ha funzionato. Avere 3 all stars che possono fare a staffetta ha pagato in questi PO.
Contro i Bulls Bosh ha giocato una serie fantastica. Certo, è più facile gonfiare il tuo tabellino se sei una stella ma nessuno potrà mai raddoppiarti (perché già impegnato a raddoppiare gli altri due). Poi quei tiri devi sempre metterli, e Chris oggettivamente l’ha fatto, ma il contesto l’ha molto aiutato. O Wade, che in gara 4 e 5 ha potuto permettersi di giocare due partite offensivamente orrende. L’anno scorso avrebbe continuato ad attaccare il canestro (per mancanza di alternative non credibili, ma almeno presentabili) , non ostante le percentuali drammatiche, e avrebbe omesso, stremato, la fase difensiva. Quest’anno invece ha potuto permettersi di passare la mano in attacco, e concentrarsi sulla difesa, gli aiuti, i rimbalzi. Per poi magari riconquistare fiducia da qui e dare le ultime zampate sulla gara anche in attacco. James poi è quello che più di tutti sembra aver tratto beneficio da questa situazione. Come se non avesse mai fatto altro nella vita, LBJ si amministra sapientemente per tutto l’incontro, per poi letteralmente esplodere negli ultimi 5 minuti.
Personalmente su Lebron mi rimane ancora qualche dubbio, perché il tipo di tiri presi in quei frangenti (quasi tutte triple con l’uomo addosso e senza ritmo) non indicavano un gran criterio nella scelta degli stessi, e soprattutto perché Lebron li sta tirando con un irreale 100% (!). A lui il compito di smentirmi.
Le altre due storie targate South Beach meritevoli di menzione sono quelle legate a Miller e a Haslem.
Mike Miller, noto per essere uno straordinario rimbalzista e tiratore, si presenta a questi PO (dopo brevi e centellinate apparizioni in RS, a causa dei più svariati infortuni) con entrambi i pollici infortunati. Ecco, diciamo che se fai il calciatore, questo infortunio potrebbe non essere determinante, se fai il tiratore …
Bene, dopo due primi turni comprensibilmente incolori, in gara 4 e 5 Miller esplode, tra l’altro proprio in corrispondenza con una situazione umana piuttosto complicata: la figlioletta appena nata ha una grave malattia, e lui si divide fra la piccola e il campo da gioco, dove potrebbe essere scusato in caso di scarsa concentrazione. E invece, un po’ come Fisher a Utah quattro anni fa, tutta questa difficile situazione gli fornisce la benzina per sfornare (la benzina per sfornare?! ) la sua miglior prestazione.
L’altra storia sarebbe materiale da Voyager, ma forse nemmeno Giacobbo potrebbe spiegare lo strano caso del Capitano, che si infortuna a inizio stagione, e viene messo in naftalina per gli anni a venire. Lui continua a dire che per i PO torna, ma compagni e addetti ai lavori lo guardano con quella pietà che si riserva allo scemo del villaggio, o a quello zio un po’ ritardato a cui tutti sorridono prima della tombola di Natale.
Ma lui insiste, magari non rientro al primo turno, ma sono quasi pronto. Una piccola comparsata contro i Celtics fa immaginare che Haslem abbia affrettato i tempi, ma non sia in realtà in condizione di giocare. Poi si passa a Windy City, gara 2, Udonis entra e nessuno sembra poterlo togliere più. Si sciroppa minutaggi da ragazzino, zampetta per il campo, difende, strappa rimbalzi, si lancia per terra sulle palle vaganti, prende il consueto tiro dalla media sugli scarichi. E lo segna pure. Va fatto notare che, vista la difficoltà per Miami di mettere punti a tabellone, chiunque segni un canestro ottiene la cittadinanza onoraria. Haslem è stato proposto come governatore della Florida.
Bene Udonis, e adesso che ti sei scaldato giocando con i bambini, finalmente arrivano i grandi, e ti tiri 7 partite contro l’attaccante più forte di questi PO, la gru (nel senso dell’uccello, non del mezzo da lavoro) tedesca che la mette da ogni dove. Sei pronto?
5 anni fa Haslem aveva fatto un ottimo lavoro, ma Nowitzki era meno deciso (e decisivo), lui era più in forma, e il cambio glielo dava Posey. Quest’anno, dato per scontato che Bosh non possa marcarlo (troppo leggero), la pagliuzza dovrà spartirsela con Anthony, altro poco celebrato operaio tra le fila degli Heat, a cui però mancano centimetri e rapidità per poter realmente impensierire il tedesco, specie lontano da canestro. Più probabile che voglia omaggiarlo di qualche fallo con livido incluso. Chi invece potrebbe provare a fare una difesa tattica sul tedesco è proprio Lebron: gli lascia una decina di cm, ma come kg, atletismo e velocità potrebbe fare perfino meglio di Posey. Certo, non 48 minuti su di lui, ma una marcatura tattica in alcuni momenti specifici potrebbe dare a Miami un discreto vantaggio.
In fin dei conti si tratta di capire se prevarrà la difesa degli Heat o l’attacco dei Mavs.
Mi permetto di fare un mio pronostico che, per quanto mi addolori essere così omologato, è quello che va per la maggiore anche in rete: Miami in 6.
Sinceramente ci sono motivi di “giustizia sportiva” per augurare la vittoria sia agli uni che agli altri, quindi al di là della solita predilezione per il buon Dwyane, tiferò per il bel gioco, e credo ci siano tutti gli elementi perché la mia speranza venga ascoltata.
Sarà una gran serie finale.
Mettetevi comodi
Vae Victis