Il Basket passato attraverso il prisma di dodici racconti, un prisma multicolore che spazia dalle leghe minori italiane alla NBA, dalla provincia nostrana a Sofocles Schortsanidis che a suo modo, nel fisico, provincia la fa da solo.
Dodici storie personali ma insieme universali, perché l’amore di una persona per il basket può trovare punti di incontro con la passione di altre, lontane ma toccate dal medesimo fuoco.
E allora la vicenda delle ragazze del piccolo San Gabriele, che all’inizio sfidavano squadre maschili, diventa tutt’uno con la narrazione emozionata del ritorno di Brandon Brown a Teramo con una maglia diversa da quella della squadra che aveva contribuito a salvare; la finale di Coppa dei Campioni del 1984 – quella vinta da una squadra di Roma e già questo è sconvolgente per chi segue il basket solo da poco tempo – vissuta da alcuni ragazzi sul traghetto tra Villa San Giovanni e Messina ha lo stesso colore emotivo dell’ultimo decimo di secondo di gara4 della finale scudetto del 2005 tra Milano e Fortitudo Bologna, canto del cigno di un club poi rovinato da faccendieri e affaristi. Ambiti diversi ma identico filo che trasporta dalla palestra di periferia, dal progetto lungimirante di Casalpusterlengo che ha solo la sfortuna del nome così lungo e poco trendy altrimenti se ne parlerebbe come si parla dell’Atalanta nel calcio.
Un basket modernissimo nei concetti ma – forse non sorprendentemente – nostalgico nei ricordi, una sorta di compianto di epoche eroiche fatto nel momento storico in cui miscelando computer, smartphone e quell’antiquato strumento chiamato televisore è possibile vedere pallacanestro a comando, ad ogni ora del giorno e della notte, notte che sibila dietro le quinte di alcuni racconti in quanto luogo dove si raccoglie idealmente la passione. Non c’è molta America in All Around, ad eccezione del capitolo su Cincinnati e le sue passioni, ma c’è tanta America tra le righe del basket che viene esposto, e da quando esistono gli strumenti adatti America vuol dire per molti sostare di fronte ad una partita in diretta alle 4 o alle 5 del mattino e sentirsi parte di una comunità di eroi immobili che al risveglio commenta poi l’ultimo tiro di Kobe Bryant o l’ultimo volo di Blake Griffin.
Eppure non c’è bisogno neanche di andare così in là per respirare un po’ di USA in All Around, la si sbircia nel capitolo dedicato alla Mangiaebevi Ferrara e alle sue tre stagioni in serie A2 nei primi anni Ottanta. Anni ruggenti non per cliché ma per realtà, e in cui l’America, per i tifosi della squadra, non era nemmeno Magic Johnson e Larry Bird ma gli statunitensi che vedevano di fronte a loro, dalla leggiadra combattività di John Ebeling alla fatua prolificità offensiva di Charles Jordan, che portarono i bianconeri alla salvezza nello spareggio contro Roseto giocato a Livorno, città che prima di spegnersi sul piano cestistico rappresentava l’epicentro di un basket che era semplice anche quando pareva complesso, e che è come se filtrasse pur’essa tra le righe di All Around, anche senza essere menzionata.
Questo l’aspetto curioso e interessante del libro, allora: si parla di basket di oggi, perlopiù, ma il filo conduttore -oltre ad unire molti degli autori nel sito d’informazione cestistica all-around.net da cui quest’avventura è partita- trasmette l’elettricità che dava la Pallacanestro di un tempo. Lo si nota dal riferimento a realtà che rarissimamente sono quelle massime, e più facilmente sono la piccola squadra, la palestra, il settore giovanile, il college, il progetto giovane, il micro-mondo di un gruppo di appassionati che ascolta quella finale di Coppa dei Campioni alla radio, su un bus di gita scolastica a Taormina.
La radio, che acquisisce un’efficacia ed una forza evocativa sempre più grande man mano che la tecnologia sforna altri mezzi di comunicazione.
La radio, vecchia e nuova, come lo spirito e la passione che con All Around trovano corpo e sostanza.
[Roberto Gotta, giornalista ed esperto di sport americani]
2 Comments
RonRon
Io il libro l’ho letto e, pur apprezzando tutte e 12 le storie, devo dire che quella su University of Minnesota, quella di Baby Shaq e probabilmente una manciata d’altre (finale coppa 1984 e finale scudetto 2005) sono un gradino sopra al resto. Bravi tutti, comunque. A quando il bis?!
FRED
Grazie per la tua attenzione