Riprendiamo l’analisi dell’operato estivo delle franchigie NBA, e dopo aver diligentemente osservato (qui) cosa ha fatto il poker delle (a mio avviso) contender, ovvero Heat, Thunder, Lakers e Celtics, ci concentriamo su quelle squadre un po’ più “folkloristiche”, che però tante gioie ci possono dare.
[b]Operazione Nostalgia (o era sciatalgia?)[/b]
Partiamo ovviamente con i Knicks, che se c’è da fare casino e spendere un sacco di soldi, non vogliono mai mancare.
Il punto di partenza era già molto buono, con due star tecnicamente incompatibili come Melo e Stat (pur se con stili diversi, vorrebbero giocare gli stessi palloni e nello stesso posto), ma in compenso dotate di caretteri prurigginosi e pessima attitudine a difesa, squadra, sacrificio e impegno. Oltre ovviamente a modestia. A questo si aggiunge la freschezza atletica di Bibby (diciamo che il Barone avrebbe potuto dargli due piste in velocità… il giorno dopo il suo infortunio negli scorsi PO) e l’alto QI cestistico di JR Smith, sapientemente rifirmato. Il tutto ovviamente coordinato dall’estro di un allenatore visionario, quel Woodson che tanto ha fatto per il basket in Georgia, uno che se gli dai da gestire Bob Marley te lo fa diventare Toto Cotugno. Per dire.
Ma a NY la mediocrità non è contemplata, e così parte l’operazione nostalgia, che riporta nella Big Apple grandi talenti del passato, a condizione però che siano in precaria condizione fisica (Walt Frazier e Willis Reed ad esempio sono stati contattati, ma poi entrambi scartati perchè mostravano un tono fisico sopra media).
Ecco così il ritorno del sempre simpatico Kurt Thomas, l’uomo che ha cercato di cancellare il ricordo di Mr Bruise Okleay a suon di lividi, e di Marcus Camby, che al Madison ricordano ancora dai tempi della finale del ’99, quando con Ewing infortunato i tifosi hanno preso in simpatia l’allora rookie ribattenzando il palazzo “Marcus Square Garden”. Per carità, parliamo di buoni giocatori, e anche in un discreto stato di forma. Per avere 95 anni a testa. Ma l’età non è tutto, e per un discorso di pari opportunità la dirigenza bluarancio ha voluto a roster anche un giovane in stato atletico penoso.
Trattasi del cavallo di ritorno Raymond Felton, giocatore famoso soprattutto per il fatto che il suo volume si calcola con la comoda formula 4/3 pigrecoerretrè.
Come avete intuito quindi quest’estate Grunwald ha trovato sulla sua “carta obiettivo” del Risiko: “costruisci una squadra NBA solo con ex giocatori dei Knicks nati prima di Carlo Magno”, ma il compito era arduo, e così pur di avere un altro vegliardo ha dovuto fare una piccola eccezione e prendere uno che aveva giocato (piuttosto bene, per altro) lì vicino: trattasi di Jason Kidd, all’ultima spiaggia ci è arrivato 2 anni fa con Dallas, ora siamo più in zona “buen ritiro”…
Insomma, troppo talento (e troppo scarso il resto della conference) per non fare almeno i PO, ma nessuna chimica, nessun disegno razionale, e un rischio infortuni orrendamente alto. Anche quest’anno NY farà molto parlare di sè, ma non andrà nemmeno vicina a un titolo.
Ah, poi ci sarebbe la questione Lin, il mancato rinnovo, il passaggio a Houston, la pantomima dei dirigenti newyorkesi che si sono rinchiusi in un albergo per non farsi trovare dai messi di Houston che dovevano (da regolamento NBA) consegnare loro brevi manu l’offerta per Lin, questi ultimi coi nasi finti e i baffoni che cercavano di entrare di nascosto… insuperabili!
[b]Non solo Knicks: anche i ricchi piangono![/b]
Ma da quest’anno NY non è più solo Bluarancio. Dopo averlo minacciato per una decade, i ridicoli Nets si spostano dalla Palude (letteralmente!) delle Meadowlands e approdano a Brooklyn. Certo, la squadra fa schifo e costa un sacco, ma la perfezione non è di questa terra…
Tramite un complesso scambio i Nets si portano in casa i contrattoni degli Hawks, primo fra tutti quello di Joe Johnson, poi rifirmano Deron Williams (e passi), Gerald Wallace (mah!), Lopez (…) e l’ex Mr Kardashian, Kris Humpries. Il tutto a valori un po’ più alti di quelli di mercato, e rigorosamente almeno il doppio del valore reale. Definire la squadra “leggerina” e “ non particolarmente a buon mercato” potrebbe non rendere giustizia al mercato estivo dei neo-newyorkesi. La cosa va però letta in altro modo.
Primo, non puoi presentarti a Broadway con Farmar in regia e Gerald Green come stella della squadra: se vuoi conquistarti un nuovo mercato, e in particolare uno abbastanza competitivo ed esigente, qualcosa di buono da far vedere ogni sera devi metterlo lì, e da questo punto di vista la squadra non è male. Certo, costicchia, ma hai anche il vantaggio di avere un proprietario che, come posso dire, non sempre si ricorda di contare le monetine di resto quando va a comprare le sigarette…
Quindi, meglio spendere qualche soldo in più e garantirsi un buon avviamento del nuovo mercato. Sulla reale competitività della squadra invece i dubbi restano. In questa prima stagione i PO sono alla portata, ma non garantiti: conciliare JJ con Williams infatti non sarà facile. L’ex Atlanta si è dichiarato eccitato di giocare con un PM come Dwill, che può metterlo in condizione di prendere tiri più facili; beh Joe, è vero, ma non dimenticarti che per avere quei tiri facili c’è anche tutta una parte preparatoria di movimento senza palla, che mai hai neanche provato ad abbozzare. E se di Kobe sono certo che sia abbastanza intelligente da aggiungere nuove componenti al suo gioco, e di Allen sono fiducioso, è probabile che il QI non necessariamente da Nobel di JJ non gli consenta di effettuare la transizione. E anche come tiratore sugli scarichi non è che faccia le onde. Insomma, nel medio periodo, e nell’annacquato est (va sempre ricordato) questi sono da PO, non è detto che ce la facciano dal primo anno.
Difensivamente, non li “rankerei” oltre il “modesti”.
Benvenuti a NY.
[b]So cool[/b]
Certo, vincere è importante. Ma ci sono squadre che suscitano emozioni, fanno tendenza, muovono consensi, in breve: sono “fighe”, pur senza essere reali contender. Pensate ai Kings dei primi 2000, ai Suns di Nash, ai Warriors del barone che hanno eliminato i Mavs, i Knicks della finale del 99, i Bad Boys degli anni 90, etc.
Le ultime iscritte in questa lista sono due squadre che difficilmente ti aspetteresti di trovare qui, vista la storia di insuccessi che li ha sempre relegati a bestie nere.
Trattasi di LA Clips e Minnesota, due squadre con storie diverse, ma che quest’anno destano grande interesse, hanno i loro fans, attraggono free agent, e in generale sono l’espressione di quel “non main stream, ma che piace”.
[b]I nuovi Twolves con Rubbio Inside[/b]
I Wolves hanno sempre fatto schifo. Da quando sono nati nell’89, le 2 uniche stagioni di rilievo sono state quella dei primi PO con la giovane coppia d’oro Marbury/Garnett, sconfitti in 5 gare e con qualche infortunio, ma con un futuro radioso davanti (ucciso in culla delle ambizioni newyorkesi di Marbury – bel colpo, Steph! -), e quella della finale di conference persa con i Lakers in 6 gare (e sempre qualche infortunio di troppo) con i Big Three atipici Garnett, Sprewell e Cassell.
Per il resto si è un po’ galleggiato nella mediocrità appesi a al Bigliettone poi, quando l’ex GM McHale l’ha spedito a Boston con un fiuto per gli affari paragonabile a quello dei nativi americani con i coloni e le loro perline, siamo tornati nella tristezza del fondo classifica, complice anche la mano di Kahn che ha fatto tutte le scelte sbagliate necessarie.
Insomma, squallore, ma non abbastanza da diventare oggetto di culto in negativo, come Atlanta, NJ o i Clips, capaci di fare schifo … da sempre. E nemmeno come i Bobcats, che fanno schifo relativamente da poco tempo, ma con altissima intensità (peggior record ogni epoca lo scorso anno).
Beh, nel giro di 2 stagioni tutto questo è cambiato, Minnie è una squadra da PO (primo turno eh, niente di più per adesso) con intorno un hype più che discreto.
Con Rubio, Budinger, Kirilenko, Love e Pekovic sono il primo quintetto tutto bianco dall’ultima (unica?) volta che Pat Riley si è trovato dalla parte sbagliata della storia (per chi volesse dettagli, si consiglia la visione del film “Glory Road”).
Grazie all’iniezione di fantasia del giovane play spagnolo, che sembra costruito in laboratorio per giocare nell’NBA, vederli giocare è un piacere per gli occhi, e in attacco sono ormai un problema per la maggior parte delle difese. Nella loro metà campo sono meno brillanti, ma l’aggiunta di AK47, una sorta di one man defense, per altro rigenerato da un anno in europa, non può che fare bene.
In panchina, oltre alla crescita di Derrick Williams, si aspetta con curiosità il ritorno di Roy che, a testimonianza di come oggi Minnie sia considerata una squadra interessante, ha scelto proprio loro per riprendere a giocare (o almeno provarci). La squadra insomma è intrigante, Barea e Ridnour possono dare respiro a Rubio e fornire cambi di ritmo quando richiesto, il cavallo di ritorno Stiestma metterà il corpicione e i 6 falli in mezzo all’area, e soprattutto Adelman è atteso alla prova di rendere queste serie di pezzi intriganti, assemblati nemmeno tanto male dal punto di vista tecnico e della chimica, una squadra vincente. Noi siamo con lui.
[b]Clippers mania?[/b]
Grant Hill, Lamar Odom, Jamal Crawford, Ronnie Turiaf, e la rifirma di Billups. Certo, non è materiale da “the Decision”, ma si tratta comunque di onesti professionisti NBA, anche con passati gloriosi alle spalle, che dicidono per i loro ultimi anni di carriera di non andare a lucrare un anello “facile” a Miami o ai Thunder, ma scelgono il contesto frizzante e un po’ alternativo di LA sponda Clips. L’ultima volta che i Clips erano stati oggetto di culto non per il fatto di perdere sempre, era con la squadra dei giovani prodigi/mascalzoni Miles, Magette, Brand e lo stesso Odom, squadra forse giornalisticamente più intrigante, ma tecnicamente molto meno credibile. Con questo roster invece abbiamo una squadra equilibrata, ragionevolmente profonda, mossa dal miglior play del momento (io nel dualismo Paul/Williams sarei un williamista, ma complici anche gli ultimi anni turbolenti e i contesti tristi in cui ha evoluito l’ex Jazz, ad oggi la bilancia pende oggettivamente verso CP3). Peccato solo per un allenatore, Del Negro, che palesemente non è all’altezza del materiale umano a disposizione, e lo fa rendere meno dell’atteso. Quest’anno, se saranno più fortunati con gli infortuni che nella scorsa stagione, si giocheranno con gli Spurs il ruolo di “spacca-maroni dell’ovest”, ovvero quella squadra leggermente meno forte delle due di testa (Thunder e Lakers), ma che nella serie giusta può infastidirle entrambe. Il vero punto debole appare la posizione di 2, che potrà essere condivisa da Billups e Crawford, che però entrambi sono fuori ruolo e per caratteristiche tecniche ed età sarebbero più indicati per un ruolo da sesto uomo. L’innalzato livello dei compagni può invece giovare a Griffin, che non sarà più costretto come lo scorso anno ha stirare il suo talento oltre i limiti oggettivi, potrà fare meno e, si spera, meglio.
[b]Thunder style?[/b]
Chiudiamo questa carrellata con due squadre che hanno deciso quest’estate di distruggere quanto costruito gli anni passati: Atlanta e Orlando. La prima è stata spinta dalla certezza di avere in mano una squadra molto cara, che mai sarebbe potuta andare oltre il secondo turno. La seconda invece è stata più o meno costretta dal Decisionista Howard, che in soli 20 mesi alla fine è riuscito a capire cosa volesse fare da grande.
Per entrambe l’idea guida è stata quella di provare a seguire le orme di grande successo dei Thunder, che appena lasciata Seattle hanno deciso di sacrificare 2/3 anni di mediocrità, liberarsi dei contratti più lunghi e onerosi, fare schifissimo per un certo periodo, incamerare scelte al draft e poi ripartire anche sul mercato. Detto così sembra facile. Gli ultimi 10 anni di Charlotte, o il decennio buio del dopo MJ a Chicago testimoniano che non sia proprio così facile. La prima parte, il via tutti i contrattacci, si è già conclusa a Atlanta, è ancora in corso a Orlando, che dopo Howard e Richardson ora offre Nelson e Turkoglu anche nei mercati rionali (sorprendentemente con scarsi risultati, per altro…). Questa parte non è facile, e soprattutto gli Hawks sono stati bravi (e fortunati) a trovare i Nets a cui rifilare il contratto/reato di Johnson. Poi viene la parte più facile di tutte, che è il fare veramente schifo per aumentare le probabilità di una scelta alta. Il pubblico potrebbe non gradire, ma bisogna anche dire che se ad Atlanta il pubblico si dimezza, vuol dire che al palazzetto vanno 5 persone in meno, quindi la perdita è modesta; e la cultura perdente permea la città da anni. Poi inizia la parte difficile, ovvero scegliere bene: qui storicamente Orlando ha sempre fatto meglio di Atlanta (non che fosse difficile, basta evitare di scegliere sempre e solo gente che si chiami Williams e che giochi in ala piccola…), ma del doman non vi è certezza. Il successo in questa fase infine influenza pesantemente le possibilità di successo nella fase più difficile di tutti, ovvero l’attirare i Free Agent di valore. Le due franchigie non hanno una storia cestistica particolarmente prestigiosa, le città sono entrambe non molto eccitanti, forse Orlando è leggermente meglio (a parte le paludi e i coccodrilli), ma Atlanta compensa con la presenza della Coca Cola, che può essere uno sponsor interessante per i giocatori. Onestamente la storia dice che questo metodo non funziona: a fronte del successo clamoroso di OKC ci sono decine e decine di tentativi di ricostruzioni naufragate dopo una stagione, con continue ripartenze senza una fine. E se una NY o una LA sanno che prima o poi il gonzo di turno attirato dalla città e dalla storia arriva (chi ha detto Melo?), a Atlanta e Orlando c’è molta meno garanzia.
Staremo a vedere, o meglio, spero di no: spero che l’NBA (e Sky) abbiano il buon gusto quest’anno di non costringerci a vedere lo spettacolo d’arte varia di queste due squadre in ricostruzione.
Vae Victis
Carlo Torriani