Venghino siori, venghino!
L’NBA è un posto strano, e la regular season ne esalta la stravaganza.
Può capitare che Nate Robinson venga nominato giocatore della settimana, guidando i suoi (?!) Bulls a 3 vittorie in 4 partite, con 17,8 punti, 2,5 furti e quasi 7 assist a partita: ma cosa gli fa Thibodeau alle sue guardie?
Oppure che Samuel Dalambert, quasi 220cm di omone prestati al basket, ma tendenzialmente con la modalità del prestito non fruttuoso, faccia una settimana realizzativa insensata, culminata con la performance di Denver, 35 punti con l’80% dal campo. Non male per uno che al canestro non dava nemmeno del Voi.
Per non parlare del buon LeBron, fresco fresco di 5 partite oltre il 73% di media, con un sospetto 53% da tre sul quale la magistratura sta ancora indagando. Pare che per trovare nuovi stimoli al miglioramento si sia riproposto per il nuovo anno di riuscire a tirare con percentuali oltre il 100%. La matematica non è d’accordo, ma se ha già sconfitto la fisica e il buon senso, perchè porsi dei limiti?
Questo Mago dove lo metto?
Parecchio mercato si è già consumato, ma come al solito dalla trade deadline di giovedì prossimo ci aspettiamo grandi cose.
Su tutte una certezza: Andrea Bargnani non sarà un Raptor il giorno dopo. Colangelo l’ha detto in ogni modo (per altro dimostrandosi un acuto negoziatore…), l’esperienza del Mago sotto la foglia d’acero si è conclusa, con reciproca … soddisfazione, diciamo. Che Bargnani sia meglio di quello visto ultimamente, spero nessuno lo neghi. Mi spingo perfino a dire che potrebbe meritarsi il suo oneroso contratto. E’ chiaro però che questo non potrà accadere in Canada. Prima di ogni aspetto atletico o tecnico ha bisogno di cambiare aria e reimpostare il suo atteggiamento e quindi il suo gioco dal punto di vista emotivo e motivazionale. E per fare questo ha bisogno di nuove motivazioni, che possono arrivare solo da un nuovo ambiente. In attacco i suoi movimenti non sono particolarmente vari, ma sono decisamente molto efficaci. Non può essere il fulcro dell’attacco, ma sicuramente un terzo violino, forse perfino il secondo. Come dicevo secoli fa, probabilmente il suo ruolo vero sarebbe quello di sesto uomo di lusso, alla Kukoc, per capirci. In questo modo gli si toglierebbe pressione di dosso, potrebbe fornire attacco quasi istantaneo senza costringere la squadra a snaturarsi per lui, se ne trarrebbero tutti i benefici pagando il minimo i difetti (compresa l’imbarazzante intettitudine a rimbalzo), perchè nelle sue performance il focus sarebbe soprattutto su cosa ti dà nel cambiare il ritmo alla partita, che non su quello che ti toglie. Non a caso oggi Toronto, per valorizzarlo al meglio ai fini di uno scambio, lo sta facendo giocare proprio in questo ruolo. E’ chiaro però che in questo ruolo e a questo prezzo ha senso solo in una contender che deve fare l’ultimo salto di qualità, e questo quindi riduce il mercato delle possibili destinazioni.
Utah Jazz: chi ci capisce???
Squadra enigmatica se ce n’è una.
Settimo posto a ovest, non proprio malissimo visto il livello della competizione. Ma ancora più curioso se si pensa al momento di questa squadra. I due veri punti di riferimento dell’attacco, Jefferson e Milsapp, sono entrambi in scadenza a fine anno. La dirigenza non vuole nemmeno prendere in considerazione l’idea di rifirmarli entrambi, sia perchè questo li metterebbe a rischio sforamento del Cap, sia perchè si fida dei 2 fino a un certo punto. Quindi appare certo che almeno uno dei due sia destinato ad andarsene a breve. Anche perchè in casa ci sarebbero 2 giovani, Kanter e Favors, parecchio interessanti e meritevoli di più spazio per poter esplodere. L’idea così sarebbe di puntare per il futuro sui giovani già a roster, con l’ottimo Hayward, più Burk e i due già citati Favors e Kanter. Non ci fai i Playoffs con 4 così, ma come comprimari per una o due stars sono tutt’altro che male (e per il momento li paghi anche molto poco). E se i Jazz non rifirmeranno i loro big men, quest’estate avranno circa 30mln da spendere in acquisti. Peccato solo che non abbiano esattamente la fila alla porta:diciamo che se sei giovane, molto ricco, e di solito con un imprinting a questo mondo avvenuto nel ghetto, non hai Salt Lake city nelle prime 10 posizioni di città in cui sceglieresti di vivere. Più semplice potrebbe essere allora scambiare 1 o (MEGLIO!) 2 dei due lunghi attuali entro la deadline, ottenendo in cambio giocatori sotto contratto di un certo livello, che quindi sarebbe più facile rifirmare dopo 1 o 2 anni. Si tratta però di un incastro non facile, aggravato dalla posizione di debolezza dovuta al fatto che tutti gli altri GM sanno che Utah vuole scambiare. La contropartita ideale per i Jazz sarebbe anzitutto un playmaker: quando hai avuto per 20 anni John Stockton, e poi per 5 Deron Williams, tendi ad essere un po’… choosy. Oggi a Utah fanno di necessità virtù, schierando (quando è sano) Mo Williams, che sta al buon playmaking come Xfactor alla buona tivù educativa o di approfondimento, ma almeno si sbatte e mette punti a tabellone; il suo back up è Jamal Tinsley, che con i suoi 75 anni non è esattamente nel suo prime, e comunque anche quando lo era convinceva il giusto. Buoni play ce ne sarebbero anche tanti in questo momento (Paul, Irving, Rondo, Westbrook, Deron Williams, Lillard, Curry, Parker, Rubio, Conley, Felton, qualche mese fa avrei detto anche Lowry), ma a parte forse Lowry, non so su quale di questi riuscirebbero a mettere le mani adesso. Poi servirebbe un esterno (guardia tiratrice o ala piccola) con punti nelle mani, e un onesto cambio dei lunghi con un po’ di testosterone e di esperienza, per coprire le pecche dei due giovani lunghi. Troppa roba per Jefferson e Milsapp? Entro una settimana lo sapremo.
Menzione di disonore
In questo periodo carnevalesco vorrei attirare l’attenzione su alcune maglie impresentabili esibite nell’NBA.
Partiamo da un classico dell’orrore: la maglia dei Thunder ritengo sia con distacco la più brutta della lega; brutta la tonalità di azzurro, inguardabile l’accostamento con giallo, rosso e nero, brutti i caratteri e i numeri. Insomma, brutta, brutta, brutta, ma con quell’aggiunta di tradizionale e anonimo che non la rende nemmeno la più brutta di sempre, qualcosa di indimenticabile, ma solo qualcosa che vorresti dimenticare subito. Non contenti di questo primato, i designers dei Thunder hanno voluto bissare con la seconda maglia da trasferta. Si sperava che, data la guadagnata visibilità mediatica, potessero almeno sulla nuova maglia raggiungere la sufficienza. E invece abbiamo un blu scuro con dei bordoni bianchi tipo pigiama, e la scritta thunder in verticale tra due righe bianche, tutto con un carattere che più impersonale non si potrebbe. Belle impossibili.
Piuttosto male anche la nuova moda NBA, quella delle maglie monocolore, in cui le scritte e i numeri sono identificabili solo grazie ad un sottile contorno, solitamente nero. Peccato che quando li guardi da oltre 2 metri (cioè sempre, durante una partita) sia impossibile distinguere scritte e numeri. Io capisco che sia necessario fare delle maglie nuove per tenere vivo il merchandising (quelle vecchie ormai le hai vendute), ma non è che sia proprio obbligatorio fare delle vaccate.
Chiude il giro dei “grazie, ma non ve l’avevamo chiesto” la nuova idea (che speriamo resti un caso isolato) dei Golden State Warriors, ovvero le maglie stile calcio, quelle iper aderenti e con le mezze maniche. Al di là del fastidio per chi le porta (ci sarà un motivo se da 60 anni si gioca in canotta, no?), la bruttezza estetica della cosa è impareggiabile. Così come la tendenza di rendere le divise da gioco dei diversi sport tutte uguali: l’orribile moda della divisa attillata è partita dal calcio (che, giova ricordarlo, è l’origine di TUTTI i mali), si è estesa all’atletica, al nuoto, al football americano, e ora sta per violare perfino del porte della pallacanestro, già per altro messa a dura prova dall’orribile moda dei leggins, o come diavolo si chiamano quelle mutande lunghe attillate che hanno purtroppo preso piede tra diversi giocatori…
Vae Victis (e buon All Star Game a tutti!)