Work Hard, Play Hard
Possiamo paragonare la vita di un uomo con una corsa ma dobbiamo supporre che questa corsa non abbia altra meta né altro premio che l’ essere davanti. Vedere uno, che non avremmo mai voluto veder sorpassare gli altri, è indignazione. Superare continuamente quelli davanti, è felicità. E abbandonare la pista, è morire.
Thomas Hobbes
Le emozioni che la pallacanestro di livello giovanile può esprimere, ormai a un tiro di schioppo dall’inizio di questa Finale Nazionale under 17, sono qualcosa di particolare, unico, forse non facilmente descrivibile. C’è chi lotta sul campo per confermare un titolo, chi per l’onore della propria squadra, chi per superare i propri limiti, chi ancora per prendersi una rivincita col destino. Il basket non è sola fredda statistica, il basket è cuore, è passione che sgorga nelle vene e riempie l’anima. Esce fuori con un urlo liberatorio di esultanza dopo un canestro decisivo, o magari con un salto insensato per catturare un rimbalzo impossibile, o ancora è quella insana natura che ti spinge fino alla fine delle tue energie per uno scivolamento in difesa o a trovare un assist incredibile su quella che sembrava una palla persa. Ci sono tanti colpi ancora da dare e da ricevere, ma la strada, quella che porta a una maglia della nazionale o a un tricolore, è già tracciata, e queste ragazze, sono pronte al grande salto, le loro parole lo confermano.
Spontaneità, determinazione e tanta passione. Basterebbero queste tre parole a definire Isabel Hernandez Pepe, guardia/ala dell’Athena Roma, che quest’anno ha giocato alla grande nel campionato di A3. Un talento, già approdato sia a College Italia che nelle nazionali giovanili, che vede nascere la passione già tra le mura di casa: “Il tutto inizia, grazie alla mia famiglia, dove da mia mamma ai miei cugini, sono tutti giocatori di pallacanestro; a 6 anni sono stata iscritta al corso post-scuola di minibasket con Marco Peduto (che ringrazio ancora oggi) e da li ho capito che non avrei mai più smesso. A 12 poi sono andata all’Athena Basket, dove tuttora gioco”. Di sicuro una giocatrice fuori dagli schemi, di quelle da cui puoi aspettarti cose impensabili, che tendono a dare sempre tutto, sia in partita che in allenamento nel quotidiano: “Ogni giorno, passo 2 ore in palestra per cercare di realizzare il mio sogno, ovvero quello di poter vincere uno scudetto, nonchè per riuscire a migliorarmi per arrivare ai massimi livelli. Oltre a questi obiettivi, che sono abbastanza comuni a tutte le giocatrici, la voglia che mi spinge a passare gran parte del mio tempo libero ad allenarmi viene dal fatto che mi diverto con le mie compagne, mi posso sfogare, lasciare fuori dalla palestra tutti i problemi: perchè una volta che provi certe emozioni e sensazioni, come dopo una vittoria del campionato o un accesso alle finali nazionali, non ne puoi fare più a meno… La pallacanestro regala emozioni uniche!” Di certo, le parole di una veterana, non alla prima Finale Nazionale della sua carriera… “Ho conquistato sei finali nazionali ma a quella u15 di Bormio nel 2011 non ho potuto giocare a causa di un infortunio al ginocchio, quindi questa e’ la mia quinta volta. Cosa mi hanno lasciato queste finali? Prima di tutto una grandissima e bellissima esperienza dal punto di vista umano: passare 24 h su 24 con le tue compagne, gioire per le vittorie e piangere insieme per le sconfitte fa sicuramente crescere molto. Inoltre, in queste competizioni, ti rendi conto del livello cestistico di tutto il panorama italiano e non solo della tua regione: ti confronti con gente più forte, più esperta, devi affrontare difese molto aggressive e soprattutto ti tocca giocare partite importantissime in pochi giorni. Quindi il livello di concentrazione deve rimanere sempre al massimo“. Ma se si pensi che per la Hernandez esista solo il campo di gioco, ci si sbaglia di grosso: anche l’off-court non è da me alla particolarità della giocatrice. “Durante le finali si respira un’aria tranquilla : ci si vede con le amiche delle altre squadre (le cosiddette amicheavversarie), si fanno due passi per visitare la citta, e a volte dopo la vittoria si va a prendere anche un gelato. Secondo me infatti dopo la partita, che sia andata bene o male, bisogna prendersi un attimo di pausa…Solo un attimo però, perche poi appena ritornare in albergo si va a dormire, pronte e concentrate sulla partita del giorno dopo, anche perche alle finali non si va a fare una gita o una scampagnata ma ci si va per giocare al meglio ogni partita e cercare di arrivare il più in alto possibile” .
Più pacata, ma altrettanto esaltante, sono le parole di Maria Lazzaro, della Pol.Galli di S.Giovanni Valdarno, prima avversaria proprio dell’Athena Roma. La sincerità toscana è risaputa, ma tutto il discorso della giovane guardia aretina può essere riassunto con pochissime ma penetranti parole: “Io e il basket litighiamo troppo”. Un’esperienza per lei che nasce quasi per caso, con il basket che diviene il mezzo per superare la propria timidezza: “Mi sono avvicinata al basket grazie a mio fratello, che andavo sempre a vedere; mi capitava spesso di fare qualche tiro a canestro ma non avevo nessuna intenzione di iniziare questo sport perché ero molto timida. Superato questo scoglio ho voluto provarci, iniziando a quasi dieci anni. All’inizio era solo un passatempo e un modo per stare in gruppo, poi è diventato sempre più presente nelle mie giornate, fino ad arrivare ad oggi, dopo 6 anni e non poter vivere senza la pallacanestro“. La sua è un’etica molto lucida legata al tanto lavoro quotidiano e ai suoi risultati: “Il basket è fatto di tanto lavoro, con le sue delusioni e soddisfazioni, le lacrime per una partita importante persa o vinta, l’ansia, l’adrenalina, e tanti altri piccoli fattori che incidono e non poco sul gioco. Al basket devo tanto, mi ha fatta crescere come persona e mi ha regalato grandi amicizie. Durante l’anno ci alleniamo per arrivare ad un obbiettivo ben preciso, quest’ anno erano le Finali Nazionali, e ci siamo riuscite. Il livello qui è abbastanza alto, ma vorremmo chiudere l’annata in bellezza,un obbiettivo comune a tutti. Si dice che l’importante è partecipare, ma penso che partecipare e vincere o almeno provarci,sia ancora più importante. Uscire dal campo dopo una sconfitta a testa alta con la consapevolezza di aver dato tutto è molto più soddisfacente di una partita persa senza nemmeno averci provato”. La sua conclusione è un po’ triste, ma piena di speranza e voglia di superare questo e altri ostacoli: “Quest’anno è stato davvero brutto per me: ho avuto un serio infortunio e che ha fatto molto male dal punto di vista soprattutto emotivo. Ora qui voglio rifarmi, voglio piangere di gioia e non di dolore…”
Concreta, dinamica e con ambizione sono le chiavi di lettura per osservare più a fondo Grazia Boccacci, play del Parma, già nel giro della Lavezzini in A1. Una storia la sua che parte da lontano: “Ho iniziato questo sport a 11 anni, dopo aver lasciato atletica. I compagni e il maestro di ginnastico (che poi è stato il mio primo allenatore), mi chiedevano di provare ed io, che di fatto non avevo mai preso una palla in mano, alla fine mi sono fortunatamente fatta convincere e da lì non ho più smesso. All’inizio non facevo mai canestro, ma piano piano sono arrivati i primi punti, i primi sorrisi, le vittorie e le sconfitte, ed ora non posso stare lontana per troppo tempo da una palla“. Lucida, come forse solo un play sa fare, è la sua disamina sull’allenamento. “Ci si allena ogni giorno, per migliorarsi, migliorare e confrontarti con chi è più forte di te. Chiaramente tutte coloro che giocano a pallacanestro sanno che vi sono periodi negativi, ma si va avanti, ci si allena ogni giorno sempre di più; e lo si fa per le proprie compagne, per l’allenatore che con pazienza ogni giorno si sgola per farti migliorare, ma soprattutto per te stessa. Questo sport mi fa vivere sempre grandi emozioni: un canestro, una palla recuperata, un assist perfetto, un cinque di una compagna o semplicemente l’applauso del pubblico quando scendi dal campo. Ecco, è per raggiungere questo che mi alleno ogni giorno, perchè una di queste soddisfazioni vale più di 1000 delusioni, e questo che la gente dovrebbe capire: la pallacanestro non è solo un hobby, una perdita di tempo, un continuo infortunarsi, o un sentire ogni giorno le urla dell’allenatore…il basket per me è molto di più: stare con le compagne, ridere quando riesci a fare un esercizio o quando senti il rumore della retina, ma soprattutto il basket è rendersi conto dopo un anno di lavoro, che le tue fatiche sono servite, che niente è stato inutile e che sei arrivato con un gran lavoro di squadra, fino alle finali nazionali“. Parole molto sentite, e sorprenderà sapere che la Boccacci sarà una delle rookie di queste prossime Finali Nazionali. “Questa è la prima volta alle finali nazionali, gli scorsi anni abbiamo sempre incontrato squadre molto forti all’interzona e anche quest’anno non è stato affatto facile riuscire a passare,ma adesso che siamo arrivate speriamo di arrivare fino in fondo, o almeno di provarci. Sappiamo tutte che già dopo la prima partita saremo molto stanche, ma questo non è mai stato un problema; quando siamo insieme cerchiamo sempre di dare il meglio, sentiamo tutte grande tensione prima delle partite, soprattutto quando ci rendiamo conto di dover giocare contro una squadra molto forte e che con una sola partita potremmo andare a casa….ma è anche questo il bello del basket. Poi ovviamente vincerà una sola squadra alla fine, e non posso che farle i miei complimenti, perchè arrivate fin qui non penso si possa parlare di una squadra peggiore di un altra, ma solo di squadra più brava“.
Più esperienza, più cattiveria agonistica, per Irene Tosi, che quest’anno ha giocato con College Italia e ora difenderà i colori della Cestistica Savonese. “Ho iniziato questo sport a 7 anni, incuriosita perchè era quello dei miei genitori. Sono cresciuta nella cestistica Savonese, con cui militerò in queste Finali Nazionali”. Sulle montagne russe tra emozioni e delusioni, la lunga ci racconta del suo rapporto con il training quotidiano. “A spingermi ad allenarmi ogni giorno é la continua voglia di imparare cose nuove, confrontarmi con avversarie più forti dalle quali posso sempre imparare molto. Certo, a volte capita di demoralizzarsi, magari in seguito a una sconfitta o ad un allenamento andato male, ma in questi casi posso sempre contare sui miei genitori e sulle mie compagne per tirarmi su“. Non certo una novizia al palcoscenico nazionale, alla sua terza esperienza, già consapevole di ciò che si troverà di fronte e soprattutto di quanto bisognerà lottare: “Al di là del risultato, ho avuto il piacere nelle passate edizioni di conoscere tante ragazze di tutta Italia, di ritrovare vecchie amicizie e di aver disputato partite molto combattute. Diciamo che poi, il dover giocare una partita al giorno, con la consapevolezza che potrebbe essere quella decisiva, lascia sempre un po’ di ansia. Però questa la puoi condividere con altre 11 compagne che ci tengono almeno tanto quanto te, e quindi riusciamo sempre a rimanere tutte unite e concentrate sull’obbiettivo“. Sul fuori campo, però, sorridendo, preferisce un “No comment” e immaginando mille traversie la salutiamo.
Last, but not least, è un’altra ragazza ex College Italia, approdata alla Fortitudo Rosa Bologna: Annalisa Vitari, pivot dagli occhi di ghiaccio ma dalla grande determinazione sul campo, una di quelle giocatrici che speri sempre di avere dalla tua parte e mai come avversaria. La sua storia è molto sentita, emozionante, personale: “Ho iniziato a giocare a basket quando avevo 10 anni. Il motivo principale che mi ha spinto è stato per migliorare il rapporto con il mio papà: non avendo molto tempo per stare con lui, visto che i miei genitori si sono separati quando ero molto piccola, ho trovato il modo di stargli vicino giocando, come faceva lui. Poi mi sono innamorata di questo sport ed è arrivato tutto velocemente: azzurrina, le partite con le più grandi, le finali, la nazionali ed infine College, tutte occasioni che mi han fatto vivere esperienze fantastiche“. Sempre pronta a nuove sfide, la giocatrice veronese ci mette sempre quel fattore in più di voglia, determinazione, che la porta a essere una giocatrice dominante su ambo i lati del campo: “Ogni allenamento lo affronto con voglia di raggiungere i miei obiettivi, senza mai dimenticare però entusiasmo e divertimento. Queste finali Nazionali non saranno le prime per me, e guardando al passato, ognuna è stata a suo modo diversamente emozionante, sono esperienze indimenticabili e in questo proverò a dare una mano alle mie compagne partendo da ciò che ho già vissuto in passato“. Guardando al suo rapporto sia sul campo che fuori, ne esce un quadro davvero particolare di una giocatrice fuori dal comune: “Queste gara, così ravvicinate, vanno giocate prima di tutto col cuore, essendo decisive per il risultato finale. Sono sicura che le mie compagne, così come me, ne metteremo tanto, così come sta succedendo in questi ultimi allenamenti. E’ diventare una squadra che può cambiare e non di poco il risultato del campo: bisogna essere disposti a sacrificarsi l’una per l’altra e in questo modo si otterrà sempre un qualcosa di positivo. Guardano oltre, le Finali sono sempre e comunque l’occasione per ritrovare le compagne di altre società, ovviamente da avversarie sul parquet ma da amiche appena suona la sirena; alla fine, a tutti piace fare festa e farla insieme a delle persone che condividono i tuoi sogni e le tue passioni è più bello. Si mette da parte la stanchezza e il rancore, e si andrà a festeggiare la migliore, con il sorriso“.
Non resta che quindi fare un grosso in bocca al lupo a tutte le partecipanti. Si alza il sipario su questa competizione, si allacciano le scarpette, iniziano a sentirsi i rimbalzi del pallone sul campo e i primi scroscianti suoni della retina. Che le finali nazionali abbiano inizio. Buon basket a tutti!
Domenico Landolfo