Eccoci di nuovo per questo terzo appuntamento di NMTPG, i precedenti qui e qui.
Rapido riassunto dei consigli di lettura: per chi volesse una preview accurata di tutte le squadre, suddivisa per division, può andare qui; per chi ha parecchio tempo libero e vuole leggere alcune vaccate sulle principali contenders della prossima stagione, può invece proseguire nella lettura. Uomo avvisato…
2 men show
Parliamo oggi degli OKC Thunder, squadra che nella scorsa stagione ci ha rivelato inequivocabilmente 3 verità su di sé:
- Durant è un giocatore fenomenale: segna (da fuori e in entrata), fa giocare, costruisce, legge le difese, difende, è un leader, a volte si presenta persino in conferenza stampa senza lo zainetto. E’ innegabilmente l’MVP della lega, al netto di personaggi di fantasia chiaramente inventati da Stan Lee, tipo il 6 di Miami.
- Westbrook è un giocatore che sposta: tutti sanno che è forte, ma i Thunder dei PO senza di lui hanno chiaramente fatto capire cosa sia andato perso col suo infortunio.
- Il lavoro di Brooks in panca è imbarazzante: con i 2 dioscuri al loro meglio non ti accorgi che OKC non ha uno schema offensivo che sia uno, una filosofia di gioco, una strategia di partita: ZE-RO! Se però uno dei 2 manca, anche se l’altro gioca come un pokemon al terzo stadio evolutivo (si, ho due figli alle elementari…), sembra sempre di veder giocare i Kings.
Morale: due giocatori così dominanti in questa lega non li ha nessun altro (complice il calo drammatico di Wade), e se sono entrambi sani e sulla stessa pagina dello spartito non c’è modo di fermarli, per nessuno. Il problema è che, non avendo nessun “luogo sicuro” dell’attacco in cui rifugiarsi nei momenti di magra, basta che uno dei due in qualche modo manchi, e per i Thunder non c’è nessuna speranza di vincere contro un’altra contender. A questo si aggiunga il fatto che Harden è ormai solo un lontano ricordo. Il suo sostituto, Kevin Martin se n’è andato anche lui. Certo, non è stato indimenticabile, ma almeno in stagione regolare è stato una terza opzione decorosa (salvo poi sciogliersi in maniera imbarazzante nei PO). Quest’anno non c’è nemmeno quello. La cosa più vicina a una terza opzione è Jeremy “l’oggetto misterioso” Lamb. La sorte ha chiaramente vomitato sul ragazzo un’onda anomala di talento; lui però si è limitato a farne intravedere qualche lampo alle summer leagues, mentre a livello NBA (e parlo di stagione regolare, figuriamoci i PlayOffs) è ancora sostanzialmente un rookie, come neanche Darko Milicich quando Detroit vinceva i titoli. Quest’anno avrà spazio, e in tanti sono pronti a scommettere che farà un salto di qualità: può darsi. Ma è il giocatore che ti tira fuori dalle secche in una partita tirata di PO? Siamo seri…
Possono tornare in finale? Sì. Considerando che i Lakers non esistono più (almeno a quel livello), che Houston è un cantiere (mooolto interessante, ma pur sempre un cantiere), e San Antonio come già detto può al massimo ripetere la stagione precedente (in cui è arrivata in finale con la forte complicità dell’implosione di tutte le concorrenti), direi che si può fare. KD e Westbrook sono giovani, e non particolarmente injury prone, quindi non sembra azzardato prevedere che arriveranno in fondo in salute (anche se dovranno scontare l’handicap del ritardo di circa 3 mesi per il ritorno di Westbrook). Sul fatto che possano essere entrambi mentalmente sul pezzo per almeno 4 partite su 7 di una serie è invece lecito qualche dubbio in più: ma potrebbero sempre dar loro una mano le avversarie.
Concludendo, i Thunder sono il mio first pick per la finale 2014, sempre che non si palesi la wild card, ma ne parliamo la prossima volta…
Chicago Bulls
I Tori stanno tornando. Le prime uscite in preseason di Rose sono incoraggianti, il tono muscolare e l’atletismo paiono buoni, così come la sua fiducia nel suo ginocchio. Il tiro da fuori manca, ma è comprensibile che ci vogliano alcuni mesi perchè torni ad essere decoroso. Quindi, con appena 9 mesi di ritardo, l’1 rossonero torna in campo. Belinelli e Nate Robinson, gli eroi improbabili degli scorsi playoffs, non ci sono più, ma considerando il ritorno di D-Rose, non mi sento di dire che si siano indeboliti in punta…
Butler è atteso ad una stagione di conferma dei livelli sorprendenti mostrati negli scorsi playoffs, ma credo che non potrà farlo finchè non verrà chiarita la vicenda Deng: il nigeriano ha saltato la scorsa postseason per un’assurda infezione virale, e si presenta ai box di partenza con un ricco contratto in scadenza; Thibodeau cederebbe più volentieri la moglie che il suo difensore di punta, ma il mercato è mercato, e con la rivelazione Butler pronta ad esplodere non stupirebbe uno scambio entro febbraio. Le due cose che lo potrebbero impedire sono la scarsità di contropartite offerte, o l’impressione che il team quest’anno sia davvero da corsa e si voglia provare un ultimo assalto al titolo prima di smontare il giocattolo. Sinceramente mi aspetto che saluti, o da solo in cambio di un 2 con punti nelle mani, o insieme a Boozer in cambio di un 3-4 che sposti. Già, Boozer. Lo scorso aprile in alcuni momenti sembrava persino di portare in campo un po’ di cuore, oltre al consueto notevole talento in post e un’attitudine difensiva da non fare vedere a persone troppo sensibili. Thibs non lo può vedere, pur di liberarsene e dare il suo posto a Gibson lo affiderebbe alle amorevoli cure del mostro di Milwaukee; sarà da vedere come sarà il bilanciamento fra i due in questa stagione. Detto di questo, in ogni caso con la Wind city si dovranno fare i conti fino in fondo, perchè non esiste in natura una squadra di coach Thibs che non lotti fino allo stremo: l’anno scorso hanno fatto sognare l’america con una prestazione strappalacrime, una serie di riserve, per altro infortunate, che battono in 7 gare i Nets e si permettono pure di impensierire gli Heat del Re. Quest’anno il talento a disposizione appare più abbondante, quindi lotteranno con Indiana per l’accesso alla finale di Conference. Anche se ad oggi mi sembrano più credibili i Pacers.
Memphis Grizzlies
In Tennessee è esplosa una bomba. A Febbraio sembravano il più educato pronostico per la finalista dell’ovest. Poi la guerra intestina fra la proprietà e coach Hollins è deflagrata. Questioni tecniche, ma soprattutto una diversa idea su quanto dovesse costare la squadra, quindi silenzi, dispetti, ripicche. Una squadra che girava come un orologio è stata smontata pezzo a pezzo, poi il Coach è sembrato poter avere l’ultima parola quando è riuscito a ricompattare uno spogliatoio sventrato e ridare una fisionomia tecnica alla squadra, fino a portare i Grizzlies dove mai si erano spinti: alla finali di Conference. A quel punto nuovamente l’inaspettato: la squadra perde, e pure male (0 a 4 contro San Antonio), dando alla proprietà la scusa per separarsi da Hollins. Quindi via l’allenatore, via la stella (!?) della squadra (sì, sto parlando proprio di Gay, non fingete di non aver capito), via tutti i tiratori da fuori (articolo di un certo interesse, quando sotto hai la miglior coppia di lunghi della lega, peraltro passatori discreti e pure entusiasti), un Randolph atteso ad un comprensibile declino fisico, e una coppia di esterni (Prince e Allen) encomiabili e utilissimi, ma rigorosamente da non prendere insieme, essendo due notevoli difensori, due uomini squadra, due agonisti, ma anche due attaccanti rivedibili e privi di qualsiasi attitudine per il tiro da fuori; quello che rimane è una squadra ancora interessante, con un asse play pivot intrigante in Gasol e Conley, e un po’ di roba buona intorno: è difficile che facciano male (i PO sono sicuramente alla loro portata), ma l’impressione è che gli anni migliori siano già dietro le spalle. Peccato, meritavano qualcosa di più.
Le Altre
Il tempo galoppa, la Regular Season si avvicina e io scrivo un pezzo ogni morte di papa (oddio, speriamo di no, io questo me lo terrei il più a lungo possibile!), quindi c’è necessità di concludere quest’elenco delle mie papabili contenders per la prossima stagione. Lasciamo da parte Indiana e Golden State, di cui parleremo la prossima volta (quindi immagino verso la pausa dell’All Star Game …), occorre comunque spendere qualche parola sulle “Contenders Minori”, ovvero NY, Denver, Houston e i Clippers.
La Grande Mela ha preso quanto di buono fatto nella prima parte dello scorso anno, l’ha impacchettato con cura, e l’ha buttato giù per lo scarico. I punti di forza erano:
– un JR Smith efficacissimo da sesto uomo grazie ad un livello di concentrazione e professionalità che sembrava quasi Duncan; quest’anno le prime avvisaglie non sono proprio ottime dal punto di vista della testa del giocatore;
– un Jason Kidd playmaker aggiunto, che supportava e complementava Felton, fornendo leadership in campo, esempio, letture di qualità, esperienza e tiro da fuori ad alte percentuali: ora è a scornarsi con la sua parata personale di stelle dall’altra parte dell’Hudson, ma tanto resta Felton, siamo tranquilli.
– un Melo conscio dei suoi mezzi e mai così disponibile a mettere i suoi talenti al servizio della squadra, complice anche un ruolo di 4 tattico cucitogli addosso; l’unico neo era l’impossibilità di farlo coesistere con Stoudamire, che non poteva giocare da 5 al posto di Chandler (troppa poca difesa e rimbalzi), né giocare da 4 a fianco a Chandler, con Melo tornato in 3 (impossibilità tecnica di coesistenza dei 2 in attacco, e scarsa fluidità della squadra con Melo da 3). Per risolvere questo anno problema si è… tenuto Stat, e si è rinforzata la panchina con Bargnani, difensivamente una copia sbiadita di Stat (quindi praticamente un foglio di domopack), in attacco un possibile fit migliore per giocare un 4 fuori con Melo libero di giocare in post, ma anche la rinuncia ufficiale a qualsiasi rimbalzo in attacco o tiro da meno di 2 metri.
Diciamo che ho visto campagne acquisti … più efficaci di quella dei Knicks. Con il ritorno di Rose, la maggiore esperienza dei Pacers e il nuovo formato All Star Team dei Nets, NY si può al massimo ritenere la 5° forza ad est, la finale di conference appare lontana anni luce, e bissare il risultato dello scorso anno appare già un miraggio.
Denver è un’incompiuta, e probabilmente un’incompibile (ammesso che esista questa parola). Una democrazia di uguali, con un eroe diverso pronto ogni sera a vincere la partita, con tantissimo talento uniformemente distribuito (sul cervello invece l’uniformità ha almeno due cali drammatici, in corrispondenza di Nate Robinson e ovviamente di McGee) e un gioco offensivo fluido e ritmato. Bisogna vedere quando torna Gallinari, e in che condizioni: in questa squadra di uguali lui è l’unico credibile candidato a essere più uguale degli altri. Destano preoccupazioni (ma anche tanta curiosità di vedere qualcosa di strano) il probabile nuovo ruolo di Javalone, atteso ad una stagione in quintetto e con un minutaggio decisamente superiore a quello voluto da Karl, e il mostro a 3 teste in posizione di PG (Lawson, Miller e Robinson). Nomi troppo importanti per potersi dividere solo 48 minuti in posizione 1, ma tutti e 3 troppo bassi per poter giocare minuti significativi con 2 piccoli insieme.
E ovviamente tutti questi fragili equilibri non potranno più contare sulla sapiente mano di George Karl per essere consolidati e sfruttati come un vantaggio. Posto che i primi 6 posti a ovest dovrebbero essere già presi (SAS, OKC, HOU, GSW, LAC, MEM, non necessariamente in quest’ordine), i Nuggets si iscrivono in una tonnara di almeno 6 squadre di livello comparabile per potersi aggiudicare gli ultimi 2 biglietti per la post season. In ogni caso, fuori al primo turno.
Houston è una delle squadre che saranno più interessanti da vedere. Il Barba ha già dimostrato di poter essere una star anche su un palcoscenico tutto suo. Quest’anno deve dimostrare non tanto di poter migliorare le sue cifre in termini di volumi, quanto di efficacia: non dover giocare 48 minuti a sera di uno contro 5 potrebbe essere un toccasana per percentuali di tiro, lucidità di scelte e incisività nei finali. Howard non ha il tono fisico di 3-4 anni fa, ma sicuramente voglia e concentrazione (relativamente alle possibilità del soggetto, sia ben inteso) sono al top di carriera, il feeling con i compagni è buono e il barba sembra intenzionato a coinvolgerlo anche servendolo ogni tanto in post basso. E poi c’è Jeremy Lin, che in preseason ha fatto vedere lampi del suo mese pazzo a NY, ritrovando in Howard quel lungo atletico e potente che aveva trovato in Chandler: l’efficacia del suo pick and roll è in deciso aumento.
Unico dubbio riguarda la coesistenza tra Howard e Asik, tecnicamente del tutto impossibile: difensivamente possono fare fatica (almeno uno deve allontanarsi dal canestro per seguire i 4 avversari, sempre più perimetrali), ma sono entrambi decorosamente atletici, e soprattutto avere due difensori così in aiuto potrebbe coprire parecchie magagne difensive. In attacco però ci troviamo di fronte a due pennelloni con mano quadrata, scarsa comprensione del gioco e del tutto inutili a più di un metro dal canestro, cosa che non aiuta né loro, né un eventuale esterno che volesse penetrare. E’ chiaro che Asik deve essere scambiato, ma siccome lo sanno tutti, le contropartite sono modeste. I Rockets devono farlo giocare il più possibile (e già parte infortunato …) per metterlo in vetrina e sperare che il suo valore salga, anche se non sarebbe nel loro miglior interesse farlo ai fini di questa stagione. Impossibile per loro trovare una quadra fra queste opposte necessità, così come anche in caso di riuscire a fare uno scambio soddisfacente a Febbraio resterebbe impossibile ricostruire da 0 (e su postulati completamente differenti) una chimica di squadra che permetta loro di fare strada nei PO. Insomma, un altro anno di utile esperienza in un primo, forse secondo turno di PO, nell’attesa di presentarsi ai nastri di partenza della prossima stagione con un roster tale da potersi veramente giocare almeno la finale di conference.
E chiudiamo con i Clippers. Le modifiche al roster hanno lasciato invariata l’ossatura portante della squadra (Paul, Griffin, Jordan), spesato alcuni vecchietti (Billups e Hill) e portato dentro una serie di comprimari più funzionali all’idea di vincere qualcosa (Dudley e Reddick su tutti). Non è però qui che si gioca la partita. E’ arrivato, dopo lungo corteggiamento, Doc Rivers, ovvero un tecnico discreto, ma soprattutto l’allenatore più carismatico oggi presente in NBA. La missione è chiara: parlare a Paul con un minimo di autorevolezza (cosa che Scott e l’inguardabile DelNegro non potevano fare) e spiegargli che se vuole vincere qualcosa deve smetterla di giocare d’istinto come al campetto e iniziare a entrare in un ottica di giochi organizzati di squadra e schemi condivisi e studiati. Doc è la persona giusta per farlo, e CP3 sa che questo è l’anno della verità della sua carriera, quello che gli può far fare il salto da freak of nature a stella che sposta. Quindi sul fatto che ci proveranno nel modo giusto non ci sono dubbi. E direi nemmeno sul fatto che complessivamente le cose miglioreranno. L’unico dubbio è sul fatto che il talento istintivo di Paul possa continuare a fare la differenza e anzi essere anche valorizzato in un contesto organizzato, e non si faccia spegnere nelle gabbie degli schemi. Il resto del cast non è da finale NBA, lo sanno tutti, però l’essere finalmente allenati potrebbe far fare un bel salto di qualità a Griffin e Jordan, e un secondo turno, forse anche una finale di conference non sono completamente fuori portata.
Con questa analisi-fiume termina anche questo appuntamento di NMTPG, la prossima volta Warriors e Pacers, e poi finalmente si parte con la nuova stagione!
Vae Victis