Che mese surreale, agosto, per gli appassionati di NBA! “Fortuna” ci siano i colpi di scena sull’asse Boston-Cleveland a tener desto dal torpore un mondo che, per definizione, never sleeps… Certo, la telenovela-Melo, qualche ultimo assestamento di mercato, ma, per il resto, agosto è, forse, il mese con meno notizie vere, quando l’interesse di tifosi ed addetti ai lavori dirotta su merchandising (le nuove canotte sponsorizzate – sic!), attesa del calendario, dichiarazioni rese (più o meno) in ciabatte dai protagonisti, foto delle star in vacanza.
Le news. I Nets, in questo scenario, non hanno fatto eccezione. Roster quasi completo (ad oggi, 14 garantiti e due two-way contracts), mancherebbe a referto solo un lungo di complemento, ma Marks, se si muove, pare farlo sotto traccia. Proprio di questi giorni è l’ultimo “rumor”, che accosta nuovamente ai Nets il nome di Jared Sullinger, immortalato (manco a dirlo) su Instagram con una jersey dei Nets insieme a D’Angelo Russell, durante un workout all’HSS Center di Brooklyn. Il suo agente conferma l’interessamento e, fatto non secondario, Sullinger e Russell sono buoni amici. Il lungo, se riuscisse a recuperare uno straccio di condizione e di peso forma, tesserato al minimo, sarebbe una steal non da poco, andrebbe a coprire un ruolo “vacante” e sarebbe perfettamente in linea con le strategie di mercato dei Nets, usi a questo tipo di contratti con big men in cerca di rilancio: Bargnani due anni fa, Bennett lo scorso anno…Che sia la volta buona? Antenne dritte, come al solito ma, in ogni caso, non si tratterebbe certo di scoop da far saltare dalla sedia il nostro direttore…
I calendari. Sotto, allora, con il programma della regular season e con i cerchietti sul calendario appeso in cucina per non dimenticare le occasioni che contano: gli incroci con i Knicks, nella “battle of the boroughs”, per sancire il platonico primato metropolitano, il ritorno di Lopez al Barclays, quello di Russell allo Staples… Faremo di meglio, rimandandovi direttamente al calendario ufficiale, completo di pre-season, cliccando qui (da NBA.com). Segnate anche le date a Mexico City, a dicembre: lo scenario è affascinante, l’entusiasmo del pubblico alle stelle, ne varrà la pena!
Interviste e dintorni. Decisamente, fa un certo effetto vedere Sean Kilpatrick e Caris Levert allenarsi per una settimana con (sarebbe forse più giusto dire andare a lezione da) Steve Nash e “mr. finals” Kevin Durant! Maestri del Gioco di rara disponibilità, il fatto in sé racchiude molto meglio di mille parole il concetto di “cultura del lavoro” iniettato a Brooklyn da Sean Marks, incarnato da coach Kenny e fatto ormai proprio da ciascun giocatore…
Ma, poiché anche le parole contano, mi piace estrapolare alcune delle frasi più significative dalle interviste rese da giocatori, staff tecnico e dirigenti, per incollarle insieme in un patchwork ideale. Ne verrà fuori qualcosa di discretamente organico e significativo: si rema tutti nella stessa direzione! Traduzione libera!
Lin: “tutti credono che faremo schifo. Io dico che faremo i playoff. Non importa ciò che pensano gli altri di noi”. Dichiarazioni estive, da trascinatore…
Levert (in tour con lui a Taiwan) gli dà man forte: “ipotesi playoff? Really realistic!”, mentre la società, per voce della premiata coppia Marks – Atkinson, stempera il tutto, giustamente, sottolineando l’entusiasmo dei giocatori e dell’intero ambiente, ma puntualizzando #thestrategy: “siamo consapevoli che il percorso da compiere per tornare competitivi è ancora lungo e che la parola d’ordine è pazienza. L’obiettivo è lavorare e crescere insieme. Se questo obiettivo sarà centrato, saremo contenti anche di 25 vittorie”.
Permettimi di dubitarne, Sean, ma il concetto è chiaro, lo era da tempo: non si firmano all-star, si fabbricano in casa; non si bruciano risorse e futuro per arrivare a 30-32 vittorie, ci si chiude in palestra per uscirne, magari tra due anni o tra quattro, con molte di più. O, almeno, così si spera…
Dinwiddie: “certo che ho sete di playoff! Tutte le squadre hanno questo obiettivo! Ma credo che noi, essendo tutti giocatori sottostimati durante l’intera carriera, abbiamo una mentalità ed una voglia un tantino differenti”…
Ancora Sean Marks: “siamo tutti eccitati dall’inserimento di Russell, un talento incredibile, ed ha ancora 21 anni!”… “Avremmo potuto scegliere, al draft, giocatori meno giovani di lui”… “Ci piace la sua stazza, ci piace la sua capacità di passare la palla e più lo conosciamo, più ci piace come persona. Lui e Jeremy (Lin, ndr) giocheranno molto insieme, condivideranno molto la palla e le responsabilità, questo ci dà semplicemente la possibilità di avere una nuova dinamica, un’arma in più”.
Last, but not least, l’intervista con D’Angelo Russell, senza ombra di dubbio la più significativa, la più forte, se vogliamo anche la più sensata, sulla quale ci soffermeremo perché, insieme agli allenamenti in notturna con i suoi nuovi compagni e, soprattutto, alla partita di street basketball giocata nel mitico scenario del playground newyorchese, al Dyckman Park, contribuisce ad inquadrare sotto una nuova luce la figura del ragazzo.
Su quella esibizione tornerò più avanti, perché merita di essere raccontata per quello che è: una storia, la più affascinante storia di basket del mese di agosto!
Soffermiamoci, invece, per un attimo sulle dichiarazioni di Dlo, perché qui occorre fare attenzione anche alla scelta delle parole, soprattutto all’uso della prima persona plurale parlando del passato prossimo dei Nets! È l’ultimo arrivato, ma si è già caricato sulle spalle il peso, l’onta degli ultimi due anni! Immaginiamo di ascoltarlo: “noi abbiamo sofferto, qui a Brooklyn, negli ultimi anni. Le squadre venivano qui a fare e portarsi via le loro serate. Io voglio riscrivere questa storia, far sì che gli altri arrivino qui e dicano: ok, questa è New York, abbiamo la folla contro di noi…Voglio che le altre squadre ci odino!”. E ancora: “qui c’è fiducia. Io sono arrivato con la rabbiosa determinazione di dover dimostrare qualcosa (vabbè, come si traduce una tipica espressione gergale come to have a chip on the shoulder?), così anche Carroll, così anche Crabbe”.
D’Angelo non è mai caduto nella trappola tesagli da Magic, che gli ha dato il benservito sottolineandone la mancanza di leadership. Non gli ha mai risposto in modo diretto. Ma, nelle parole e nei fatti, finora, parla ed agisce come un figlio di Brooklyn e come un leader. Con il carisma di chi si considera parte del gruppo e, nel contempo, il suo trascinatore. Maturo e sicuro di sé. Pare davvero determinato a dimostrare qualcosa. E questa narrazione l’ha affidata alle pagine patinate della stampa della Grande Mela con la medesima naturalezza con cui l’ha interpretata tra la gente del posto. Vedremo come…
Congetture tecniche. Intanto, però, proprio partendo da queste (ed altre) dichiarazioni, dalla conoscenza dei giocatori e delle convinzioni del coach, chiudendo gli occhi non si può non immaginare la regular season, le notti bianche combattendo con lo streaming, le emozioni della gara. Non si può non provare a mettere a fuoco ciò che vedremo ed a confrontarlo con il passato. Arduo compito quello di restare con i piedi per terra e non scivolare nell’opinionismo da bar, eppure qualche certezza, qualche punto fermo io lo fisserei.
Lo scorso anno abbiamo visto tanto gioco dal post basso, obtorto collo, soprattutto in assenza di Lin: Lopez, a partire dalla posizione delle tre minacce, creava per sé e per i compagni. Tanta transizione-contropiede innescata dal lungo di turno, in grado di catturare il rimbalzo, mettere palla a terra e correre. Tanta circolazione cominciata dal vantaggio creato con il penetra e scarica sul lato debole o sul taglio in backdoor. Un uso limitato e strumentale, tattico e non strategico, del pick and roll. Per lo più adattamenti, riarrangiamenti delle idee del coach imposti dalle caratteristiche dei giocatori disponibili.
Molto di tutto questo sarà, quest’anno, ridimensionato. La quota di talento sul perimetro è cresciuta drammaticamente e metterà il coach in condizione di sviluppare le sue teorie moderne, fatte di fluidità di circolazione e di ruoli, di tanto movimento con e senza palla, di difesa aggressiva e corsa. Si è disquisito, sui siti d’oltreoceano, sulle analogie con D’Antoni, Kerr, Stevens, Budenholzer… Io dico che Atkinson ha le potenzialità per essere sé stesso, somigliando, per sua stessa ammissione, le sue idee a quelle di tutti costoro. Certo, il tiro da tre punti è e sarà, ancor più in futuro, un cardine del gioco dei Nets, grazie ai nuovi arrivi. Avere lunghi più tradizionali, da pick and roll, ma con mani veloci e (si spera) altrettanto brave nei passaggi, sarà determinante per creare situazioni di spot up dal pick and roll e seconde opportunità.
La mia idea di assistere ad un uso più ortodosso del pick and roll è corroborata dalla disponibilità di due combo (Lin e Russell) o, se preferite, di un doppio playmaker in campo, dando per scontato che questi saranno stabilmente nello starting five, almeno come idea iniziale, nonché dall’asse già consolidato Russell-Mozgov (a proposito: confortanti le prove di quest’ultimo nel primo scorcio di Europeo!). Sarà indispensabile che Allen evolva rapidamente e mostri un buon repertorio offensivo, e che Mozgov torni quello di due stagioni fa implementando, magari, il proprio, per rendere i giochi meno prevedibili. Il russo ci sta lavorando, in particolare sull’ampliamento del suo raggio di tiro, perché con Atkinson, anche a 31 anni, non si può smettere di crescere e migliorarsi!
Ma la fase cruciale dell’evoluzione del futuro sarà quella difensiva, non mi stanco di ripeterlo! E qui, se possibile, i cambiamenti saranno ancor più drastici. Intanto, la difesa del ferro beneficerà della stazza e delle leve dei nuovi lunghi. È prevedibile, non solo auspicabile, che l’approccio alla difesa sul P&R e la versatilità, la capacità di adattamento agli avversari, su quello che era il costante tallone d’Achille dello scorso anno, ne verranno potenziati. Sugli esterni: Lin è un difensore sulla palla e nel pitturato decisamente sottovalutato (e, ricordiamolo sempre, alle sue spalle scalpitano difensori nati come Dinwiddie e Whitehead), mentre molto occorre lavorare su Russell ma, soprattutto, su Allen Crabbe, vera chiave di volta della prossima stagione! La società ha investito molto su di lui ed il ragazzo lo sa; ha gli skills necessari per avere un alto rendimento anche nella propria metà campo, perché è rapido di mani ed ha lunghe leve; le dichiarazioni rese da Sean e Kenny non lasciano molti margini al dubbio: il piano è questo. Dalla sua capacità di limitare la prima punta avversaria passeranno non solo equilibri tattici e risultati, ma anche l’efficacia delle rotazioni dalla panchina: il rischio è che Levert debba essere speso troppo in qualità di specialista difensivo, il che, in un anno determinante per la sua crescita come all-around star, sarebbe quanto meno limitativo! Aspettiamo con ansia crescente la controprova del campo….
La storia dell’estate: D’Angelo Russell al Dyckman Park. Parliamoci chiaro: il giocatore più atteso della prossima stagione dei Nets resta comunque D’Angelo Russell, questo è fuori discussione! Confesso, e lo feci anche a caldo, pubblicamente, di aver digerito male e lentamente, due mesi fa, quella trade che ci ha privato del volto della franchigia, del leader silenzioso, uomo spogliatoio e bandiera insieme (Brook Lopez), per acquisire un giovanotto di bellissime speranze dalla personalità dirompente ma ancora, apparentemente, immatura perché troppo incline alla spigolosità e troppo poco al compromesso. Il che, in uno sport di squadra, va bene fino ad un certo punto.
La sua fama di talento diamantino e, in gran parte, ancora inespresso è stata addirittura preceduta da quella di “testa calda”, di un carattere difficile che lo ha spinto a screziare con compagni di squadra ed allenatori.
Il carico da novanta, poi, ce lo ha messo nientemeno che il nuovo presidente operativo dei Lakers, uno il cui nome basta a scolpire nella psiche collettiva ogni sua parola come fosse vangelo. Il commiato di Magic Johnson recitava più o meno così: “dispiace lasciar andare un talento come D’Angelo, ma noi abbiamo bisogno di qualcuno con leadership”!
Una lettera scarlatta impressa a fuoco sulla fronte di Dlo, proprio mentre lasciava Los Angeles per New York, non una città, non una metropoli…un luogo a sé, forse anche più complesso e contraddittorio, tentacolare, caleidoscopico ad un livello quasi archetipico, cosmopolita al punto da sapermi trasmettere le vibrazioni di un derby da distanze a quattro cifre. Dove, dietro le interviste da star per riviste patinate, dietro le feste hip-hop o le cene di gala, dietro i lustrini della City, le nebulose di atomi sociali che sciamano frenetiche h24 lungo avenue chilometriche quanto le gambe delle soubrette, tra grattacieli impastati di cemento ed indifferenza, c’è il mondo seminascosto dei sobborghi, della vita di strada, della violenza, fisica e sociale.
Se abbracci New York e se vuoi esserne abbracciato, devi cimentarti con gli uni e con gli altri. E, di questo mondo “altro”, il playground è, insieme, parte integrante e via d’uscita.
Lo streetball è basket ma è anche uno sport a sé, che tempra lo spirito ed allena la personalità ancor prima del fisico. Che forgia ed indurisce. È un trampolino vertiginoso dal quale lanciarsi o precipitare. Un banco di prova, le forche caudine alle quali ci si sottrae solo al prezzo di abdicare e rassegnarsi ad essere meteora nel firmamento della Grande Mela.
Whitehead è parte di questo universo parallelo, essendo nativo di queste parti. D’Angelo a tutto ambisce, fuorché ad essere…polvere di stelle. Il sillogismo, la triade spirituale è un cerchio che si chiude sull’asfalto del Dyckman Park, dove il basket ha ancora le forme dei precari e stracolmi gradoni addosso al campo, l’odore acre del sudore ed il sapore ed i suoni dello slang. Dove la folla ha un aspetto un tantino diverso da quella del Barclays o dello Staples, è un muro di ragazzi già uomini da sempre, raccolti in quel luogo come un’unica testa che è lì per giudicarlo, prima e più che per divertirsi; come un’unica, grande, inquietante mano dalle innumerevoli dita, tutte minacciosamente puntate contro di lui!
“Tornatene da dove sei venuto!”, il più gentile dei welcome gridatigli dal popolo di New York prima di cominciare a giocare, come racconterà lo stesso Russell alla stampa. Whitehead non ha il potere di mitigare la durezza della prova, può solo accompagnarlo all’ingresso, introdurlo all’ambiente, pensare a giocare per sé: tocca a te, Dlo… Qui si parrà la tua nobilitate. Questo moderno Anubi suburbano ti peserà il cuore con la sua mano dalle innumerevoli dita e deciderà, senza appello, se il tuo destino è nell’Ade delle meteore o se hai diritto d’accesso all’élite che conta, all’anima della metropoli…
E D’Angelo Russell gioca. Si cala nella fossa con lo spirito giusto, si mette a nudo, mostra i muscoli e la classe. E, mentre gioca, sente il tocco di quella mano dalle innumerevoli dita, prima tastarlo ruvidamente, per saggiare la sua consistenza, poi applaudirlo, infine sostenerlo, addirittura sospingere fisicamente il suo pallone, il suo buzzer della vittoria, come in uno splendido film tutto americano, in fondo alla retina, la folla esplodere in un boato liberatorio ed osannante! Guardare per credere!
Se il parquet della NBA è, senza dubbio, tutt’altra cosa, tuttavia il popolo ha già deciso: Russell può essere il leader, la faccia dei Nets del futuro.
È sua, stavolta per acclamazione, la “retina del mese” di agosto.