Dicembre inizia benino, poi, paradossalmente, dopo la trade che ha portato Jahlil Okafor al di qua del ponte (sui cui dettagli abbiamo già scritto), fa registrare una strana involuzione, soprattutto difensiva. Ne nasce un’inaspettata ondata di critiche, finendo per scalfire anche la fiducia di Atkinson, indotto a ventilare cambiamenti (visti in parte, tuttora in corso con risultati evidenti), ma anche verso Atkinson, fatto oggetto, sui social, di una valanga di considerazioni non proprio apologetiche, talora sensate, spesso ingrate. E qualcosa, a fine mese, si è mosso, sia pure a corrente alternata: tra le varie sconfitte ci sono stati anche degli acuti clamorosi che lasciano ben sperare. Certo, nessuno si aspettava che Okafor vedesse il campo solo in un’uscita in garbage time, per poi essere relegato all’HSS Center a scaldare i motori, recuperare forma, acquisire schemi. Il coach tira dritto per la sua strada, barcolla ma non molla, mostra la stessa resilienza della sua squadra, fedele, ai limiti del fanatismo, all’etica del lavoro. E forse, alla fine, ha ragione lui.
L’aspettativa, intanto, cresce, i risultati, nel complesso, ancora latitano. Facciamo un po’ di storia recente…
La cronaca. Il mese inizia con la doppia sfida contro gli Atlanta Hawks di Schroder. Avversari non trascendentali che, pure, dominano al Barclays, sorprendentemente, con un paio di semplici accorgimenti: la difesa allungata di coach Bud ed il cambio di gioco sul pick and roll da parte del tedesco, che rende vana la difesa del ferro da parte dei lunghi di casa non attaccando a testa bassa, ma sfruttando gli spazi nel mid range, con ripetuti floater. Fortunatamente, nel “ritorno” in Georgia le cose andranno molto diversamente, ed i bianconeri prenderanno il largo e la propria rivincita nella ripresa, grazie alla stella di Levert, che inizia a brillare illuminando anche Jarrett Allen. Dal loro asse nascerà il primo, decisivo strappo.
Ci si sposta, quindi, in Messico, oltre cortina, ove i Nets saranno degni ambasciatori dello spettacolo NBA sconfiggendo in rimonta i Thunder di Westbrook e Melo, grazie ad un’altra prova formato All-star da parte di Levert (21+10). A città del Messico, due giorni dopo, i bianconeri non concedono il bis, cedendo di schianto nell’ultimo parziale contro i Miami Heat (peraltro ancora privi di Whiteside), sotto i colpi di Dragic e della vecchia (mancata) conoscenza Tyler Johnson.
Il pronto riscatto contro i Wizards, sia pure privi di Jhon Wall, al rientro al Barclays, lascia ben sperare, benché l’assenza della loro star rallenti non poco reattività e processi decisionali dei capitolini, invece è il preludio ad una serie di sconfitte indiscutibili e preoccupanti, per l’involuzione del gioco e per l’incapacità a tenere alta l’intensità per tuta la durata della gara. I parziali puniranno i Nets, a partire dal derby casalingo con i Knicks (del quale abbiamo raccontato con dovizia di particolari), in cui difesa e stazza fisica degli avversari dettano legge, proseguendo con la prevedibile disfatta di Toronto, della quale meritano menzione le assenze di Carroll, Crabbe ed Allen e gli esordi dei neo-arrivati (sopra le righe la prestazione di Stauskas, 22 punti e triple al fulmicotone!), con la sconfitta senza attenuanti contro i Pacers, della quale si è molto parlato per il ricorso, con qualche efficacia transitoria, alla difesa a zona, tanto inusuale in NBA (troveremo modo di vederla attuata anche in altre occasioni, anche più ordinata e meglio adattata), e perfino contro Sacramento, da cui si è subito di tutto, prima di tentare la solita, disperata ed infruttuosa rimonta nel finale. Una striscia che costringe Atkinson a riflettere ed a preannunciare cambiamenti.
Nel frattempo, avviene un’operazione di mercato minore, quasi passata sotto silenzio: tagliato il two-way contract allo sfortunato Ouattara, infortunatosi prematuramente, viene firmato Milton Doyle, guardia tiratrice atletica, verticale e tuttofare che stava facendo sfracelli in G-League e di cui nessuno (con la sola eccezione del sottoscritto) pareva essersi accorto. Il ragazzo ha doti tecniche, faccia tosta e la genetica giuste per crescere, prendete nota. Esordirà solo a sprazzi, con qualche minuto in garbage time. Finora…
Sembra l’inizio della fine, anche in vista di un calendario non agevole, invece qualcosa inizia a cambiare davvero. Non nello starting five, come molti credevano, ma nel modo di giocare: più paziente e riflessivo, più ricerca del ferro e del mid range e meno ricorso alle triple, più aggressività in difesa, ove le partite paiono meglio preparate. Ha pesato, e non poco, la partenza di Trevor Booker, inserito nella trade per Okafor e Stauskas; ha pesato la fatica fatta da Crabbe nell’adeguarsi ad un gioco ed un minutaggio che gli richiedono anche costante applicazione difensiva, eppure, a partire da qui, scatta qualcosa. La tensione intorno alla squadra si allenta magicamente, forse anche grazie alle dichiarazioni di Sean Marks, che finalmente quantifica in tempi di rientro di Okafor (primi di gennaio) e di Russell (un paio di settimane più tardi); ne viene fuori una delle migliori prestazioni della stagione, forse dell’intera gestione Atkinson: ancora contro i Wizards, stavolta al completo, si vede una difesa eccellente sul pick & roll del temibile asse Wall-Gortat, con il marcatore piccolo che “scherma” il lungo impedendogli di portare il blocco, un po’ “a là Thibodeau”. Aggiungiamo la sempre più convincente “staffetta” Dinwiddie-Levert at the point e la ormai abituale prova sopra le righe di RHJ, ed ecco che i maghi della capitale sono cotti in 48 minuti! In b2b, ad Indianapolis, il primo tempo è perfetto, sulla falsariga della gara precedente, poi si subisce il raddoppio sul portatore e si va sotto; pare finita, ma questa squadra non smette di stupire: risorge dalle proprie ceneri e la porta all’OT, ove si inchina solo ad Oladipo. Della serie: “loro hanno il go-to-guy, noi no”. O, per lo meno, non ancora…
Con gli Spurs ed i Pelicans va in scena un altro back-to-back, affrontando assenze e mismatch improbabili, subendo sconfitte ineccepibili, a tratti imbarazzanti. Prevedibili, certo, ma questo non basta ad impedire che si riaccendano malumori tra i tifosi, sempre più esigenti. Atkinson non cede alle pressioni: ha un programma di lavoro per Okafor ed intende rispettarlo. Ma, nel chiuso della palestra, sta covando un lavoro di squadra e sui singoli che ha un nome solo. È un pallino, un tarlo su cui ho puntato l’indice fin da inizio 2017, che lo tormenta fin dalla scorsa stagione e che rappresenta il suo metro di giudizio, se non per le scelte di mercato, sicuramente per quelle che riguardano gli uomini che ha a disposizione: la difesa. Sarà lei la protagonista della sontuosa vittoria a Miami, tenuta al 33% dal campo, addirittura l’11% dall’arco. Lei, la chiave della rimonta sfiorata a Boston, l’ultimo dell’anno, quando, nel finale, i Nets risalgono dal -14 e sfiorano i supplementari grazie anche ad un Crabbe miglioratissimo e ad una eccellente marcatura di Levert su Irving. Il 2017 è stato un horror, ma il finale ha un sapore agrodolce e lascia adito a speranze per un sequel decisamente migliore…
Aspettative. Nel complesso, il record peggiora, la classifica anche, sia pure in virtù non solo delle sconfitte dei Nets, ma anche degli exploit di realtà impreviste, come Indiana e New York (peraltro affrontate più volte e con perdite) o resilienti (Chicago). È evidente che, superato l’assestamento iniziale, i valori reali iniziano ad emergere e, ad oggi, stanti le perduranti assenze, i bianconeri non sono a quei livelli. Quando il gioco fluisce e ci si ricorda di difendere si tiene testa a chiunque (il record dei Nets è immacolato quando riescono a difendere: 10-0 quando gli avversari non superano i 100 punti!), ma il potenziale standard non è, per adesso, all’altezza.
Quando si pensa che i Nets sono l’unica franchigia, tra quelle oggettivamente fuori dalla corsa playoff, a non avere interesse a perdere, si dimentica troppo facilmente che essi sono privi cronicamente della coppia di guardie intorno alle quali erano disegnati tutti i piani di gioco della stagione, che hanno fatto registrare (anche nel mese in corso) una serie di altri, piccoli, infortuni, che non hanno, tra i disponibili, il closer designato per i tanti finali punto a punto, che sono privi di un vero centro titolare, stante ancora, il neo-arrivato, ai box per essere inquadrato nel sistema. Il tifoso è miope per natura e per definizione e, in una situazione simile, tiene lo sguardo basso sul parquet. La società, forte della sua strategia, da cui non deflette un istante, è invece presbite per principio, e guarda solo oltre. A noi spetta di usare lenti a gradazione variabile, cercando di capire e narrare entrambi e non è facile.
Sul campo, tutti si aspettano che la squadra getti il cuore; che vengano fatte sempre le scelte e le correzioni tattiche più giuste in corso d’opera; che venga schierato sempre il quintetto migliore.
Sul primo punto, salvo qualche passaggio a vuoto, credo ci sia poco da dire: i ragazzi non mollano mai, ci provano contro tutti, non demordono neppure dopo aver subito gli ormai abituali parzialoni.
Sul secondo, la questione è aperta. La scorsa stagione, sulla base di mere osservazioni e non certo per il gusto dell’eccentrico, la mia era, forse, l’unica voce fuori dal coro degli osanna, quando richiamavo l’attenzione sugli errori del coach laddove tutti benedicevano il cambio di gioco, di metodo e di mentalità nonostante le vittorie latitassero: tutta colpa degli infortuni, si diceva, a quella squadra non si poteva chiedere di più e si aspettava il ritorno di Lin come gli israeliti la venuta del Messia, digerendo, nel frattempo, perfino la striscia da 1-26.
Atkinson. Oggi, rispetto ad allora, non si pazienta neppure in corso di striscia 2-7, comprensiva di due back-to-back e con avversarie obiettivamente quasi sempre fuori portata. Mi ritrovo nel novero dei difensori di coach Kenny non per aver mutato le mie opinioni, ma perché gli altri osservatori hanno frettolosamente alzato l’asticella delle aspettative. Gioverà ricordare che, ad oggi, rispetto al roster dello scorso anno, ci sono sì un Crabbe (non in grande spolvero, peraltro) ed un Carroll in più, ma anche un Booker ed un Lopez in meno. Punto. Siamo sì, di fronte a giocatori completamente trasformati rispetto al passato, i vari Dinwiddie, Levert ed Hollis-Jefferson, soprattutto, ma anche Harris, lo stesso Zeller, che l’anno scorso era altrove ma nemmeno vedeva il campo (e, se così è, il merito non è forse ascrivibile ad Atkinson ed al suo staff?); ma pur sempre con Lin e Russell assenti, ancora senza qualità, né stazza nel frontcourt, senza i giocatori più talentuosi (si spera ancora per poco) … Quanto è difficile, in queste condizioni, trovare le gerarchie e le risorse per gli aggiustamenti in corsa? Fatte le debite proporzioni, i Warriors sarebbero gli stessi se giocassero mezza stagione senza gli splash brothers?
Kenny è pur sempre un sophomore, ha le sue idee ma sta crescendo e deve fare ancora tanta strada. È lui stesso il primo a saperlo. È un lavoratore meticoloso ed uno specialista nell’allenare talenti; ma qui gli si chiede di trasformarsi in un sottile stratega che dovrebbe muovere le sue pedine con la maestria di un baro nel gioco delle tre carte. Non lo è, è una scommessa che possa diventarlo, è pretenzioso chiederglielo in condizioni di emergenza. Tuttavia, sta facendo del suo meglio: il miglioramento dei risultati a fine mese è stato parziale, ma non frutto del caso, bensì di evidenti progressi, soprattutto difensivi. L’idea è: lo si lasci fare il suo mestiere ed aspettiamo di vedere come saprà inserire Russell e Okafor…L’attesa, appunto, quel senso di incompiuto e di potenzialmente molto piacevole ma finora rimasto in canna, che pervade ogni gara dei Nets ormai da troppo tempo, forse sta per finire.
Crabbe. Così come era una scommessa cercare di trasformare Crabbe in uno starter, lui, sesto uomo nato. Fin da questa estate da me identificato come uomo-chiave per la stagione (insieme al coach), finora pare non aver ancora trovato il buco della serratura. È stato lui, fin quasi a fine anno, ed in particolar modo nel corso del mese di dicembre, la delusione del 2017 in quel di Brooklyn. Le cifre del mese, in cui ha giocato regolarmente da SG titolare, recitano 10,5 ppg, 4,2 rpg, 1,6 apg, 0,7 st, 36%FG e 32%3P. Numeri che suonano più come un capo d’accusa che come un campanello d’allarme, in un ruolo in cui i Nets annoverano anche il miglioratissimo Joe Harris ed il neoarrivato Nik Stauskas, senza contare Levert, ormai assurto stabilmente a backup PG e leader della second unit, e l’ormai rientrante D’Angelo Russell. Guardando le partite, la difficoltà ad inserire stabilmente Allen Crabbe nello starting five è stata più che una sensazione e non si ferma alle fredde cifre ed alle triple che non entrano: il ragazzo restava sovente piantato sui blocchi, al punto da essere fatto bersaglio da alcuni avversari, una volta individuato come anello debole della già non eccelsa difesa bianconera. La mia personale opinione, alla luce degli exploit della coppia Spencer-Caris come PG, è che il rientro di Russell sia destinato a spingerlo verso il suo ruolo naturale, quello di uomo di rottura dalla panchina. Non sembra, tuttavia, essere questo il piano del coaching staff, che evidentemente ci sta lavorando e bene, anche, se è vero che, dopo la famigerata striscia perdente, Crabbe ha mostrato netti segnali di ripresa: mette di più la palla a terra, conduce il pick and roll, attacca più spesso il ferro, aggiungendo così la minaccia delle penetrazioni al suo repertorio d’attacco ed ottenendone una migliore selezione dei tiri, gira intorno al bloccante e continua a seguire il suo uomo contestandone con più continuità le conclusioni, cerca l’anticipo e inizia a “leggere” le linee di passaggio. Presto per dire che una rondine fa primavera, il giudizio mensile resta negativo, aspettando che il ragazzo, ancora venticinquenne, mi smentisca nei fatti e non diventi, invece, quello che finora mi è sembrato: un Bogdanovic-2.
Marks. Fin da quest’estate avevo indicato in queste due scommesse l’ago della bilancia stagionale: ora, le perduranti assenze degli uomini migliori hanno reso ancor più profetica e cogente questa mia valutazione preliminare. Finora stanno pagando a singhiozzo, ma a) le condizioni in cui erano state pensate erano molto diverse e b) come detto, lo sguardo del GM va molto oltre la contingenza e la stagione in corso. Probabilmente, il suo processo di rebuilding sarebbe due step avanti se non fosse stato continuamente minato dagli infortuni, ma lui continua a dispensare fiducia ed a predicare pazienza.
A conti fatti, ad oggi, meglio non esprimere un giudizio sul mercato di Marks. Quella che pareva una strategia geniale, vede oggi, a bilancio “attivo”, un salary dump puro e semplice (Mozgov), un infortunato lungodegente (Russell), un costosissimo azzardo finora a fondo perduto (Crabbe), una prima ed una seconda scelta bassissime (Toronto), un lungo di grandi speranze che praticamente non gioca da due anni (Okafor), una buona backup SG (Stauskas, ma c’era già Harris, volendo, eh…) ed il solo Carroll come aggiunta di valore. Un ben magro bottino, per arrivare al quale si sono persi Booker e Lopez e si è rinunciato a Kuzma! Messa in questi termini sembra poco più che un disastro. Al tirar delle somme, invece, sarà la chiave del futuro: fare un passo indietro per poi farne due in avanti. Si è rinunciato a del talento pronto-uso, di medio calibro e ormai stagionato per puntare tutto su quello grezzo, ma notevole e giovanissimo. Rischiando, certo, ma gettando lo sguardo oltre la punta del proprio naso, verso l’orizzonte ed oltre. Il tempo sarà galantuomo e, credo, glie ne renderà merito, ma ora?
Ora olio di gomito e si va avanti: individuati alcuni atavici e strutturali difetti, come la difesa sul pick and roll, quella sul post e l’attacco nel mid range, ci si sta lavorando: la travolgente vittoria contro i Wizards non è apparsa, allo scrivente che l’ha seguita in diretta, né estemporanea, né casuale, ma figlia di un attento studio dell’avversario e di evidenti progressi nel gioco dalla media e nella difesa. E così anche nel primo tempo di Indianapolis, nel trionfo di Miami, nella strenua resistenza sul campo dei Celtics… Manca poco, a volte un niente, per fare quello scatto di qualità: chissà, forse solo gli uomini ancora fuori (Okafor vedrà di nuovo il campo proprio mentre scriviamo, Russell intravede il traguardo). L’attesa, appunto…
I singoli, le gerarchie ed il sistema. E, mentre l’attesa cresce, c’è da far quadrare i conti e da trovare le giuste gerarchie, qui ed ora. Dicembre, in questo senso, è stato il mese della svolta: nel mensile precedente avevo sottolineato l’incertezza, con 12 diversi quintetti iniziali in un mese e mezzo; ora lo starting five è stato pressoché lo stesso in tutte le gare del mese, obbligato dalla limitatezza delle scelte, ma anche dall’evidenza dei numeri. Dinwiddie non ha replicato le clamorose cifre del mese precedente, ma la sua costanza (ed il suo essere l’unica true point guard del roster) soprattutto nell’affidabilità (rapporto assist/palle perse vicino a 5, meglio di lui solo James Harden!), la sicurezza che ostenta, la capacità di prendere in mano la squadra ed assumersi responsabilità (a volte anche troppo: suoi alcuni buzzer falliti nei finali punto a punto) ne fanno un leader incontrastato ed ormai universalmente riconosciuto. Clamoroso il boom di voti ricevuti dai tifosi in vista dell’ASG. Freschissimo il ranking delle PG di Bleacher Report, che lo ha collocato al 14° posto in NBA, immediatamente alle spalle di un certo Isaiah Thomas! Dietro di lui, Levert sta vivendo un momento di esplosione pazzesco ed inatteso, nel ruolo di backup point guard: 14 ppg, 5 apg, 44%3P, uscendo dalla panchina, sono cifre da star, qualora riuscisse a dar loro seguito e continuità. È bene che prosegua così, senza fare il passo più lungo della gamba e senza uscire dalla sua comfort zone (cit. Atkinson), per ora. Di Crabbe SG titolare abbiamo detto: io resto dell’avviso che, da sesto uomo, potrebbe migliorare efficienza e percentuali e dare ancor più lustro ad una panchina che, già così, è la seconda più produttiva della NBA. Oggettivamente, però, lo stesso potrebbe dirsi per Harris (che continua a stupire) e per Stauskas, che ha, sì, impressionato (oltre il 54% dall’arco), ma lo ha fatto con minutaggio molto ridotto e, per lo più, in garbage time e la cui storica intesa con Levert, suo compagno di squadra e di camera al college, lo rende pedina ideale della second unit. Avanti con l’esperimento, quindi. Senza Carroll i Nets non possono fare, questo è ormai acclarato: lo spot 3 è suo. Difende, cambia, cattura carambole, fa anche il lavoro sporco, raramente sbaglia una scelta, praticamente mai la posizione, può portare palla, dà una forte sensazione di efficienza perché fa sempre la cosa più sensata. È leader silenzioso ma riconosciuto, come si conviene ad un veterano. Fuori Lin, è lui la longa manus di Atkinson, anche nel suo caso artefice di una rinascita. Hollis-Jefferson, ad oggi, è il miglior giocatore dei Nets in attività, poche storie! A dicembre, solo in tre gare ha mancato la doppia cifra. Da tiratore mediocre e sistematicamente battezzato, è diventato uno dei realizzatori più affidabili. Ha fiducia, il suo “giro e tiro” dal post è quasi una sentenza, ha migliorato le doti di palleggio, per cui sa attaccare in transizione e dal gomito. Dettaglio non indiferente, è il giocatore che va più spesso in lunetta e che conquista più and1. È, a mio parere, il miglior difensore della squadra. Ai punti, vince con Levert il ballottaggio: è lui la mia retina del mese. Gli manca il tiro da tre per essere una star, perché questo limite lo rende incapace di aprire il campo e condiziona le scelte tattiche della squadra: troppo forte, atletico e veloce per lasciarlo languire in panchina, troppo piccolo e “interno” per sposarsi bene con un centro tradizionale. E qui, nello spot di pivot, il discorso si fa davvero interessante, anche alla luce dell’ormai pluriannunciato esordio di Jahlil Okafor. Non solo la filosofia di Atkinson, ma anche il mero buon senso, nella contingenza, richiederebbe uno stretch 5, che, però, al momento non c’è. C’è Zeller che, per distacco, sempre in attesa dell’avvento, è il miglior centro disponibile, nonché quello con la più solida intesa con il play titolare: tra i circa 50 giocatori NBA che abbiano fatto registrare almeno 50 conclusioni da rollante, Tyler è terzo assoluto per punti per possesso (1,31), dopo Capela e Randle! Ancora: Il plus/minus con l’asse Dinwiddie-Zeller in campo è +76 in 342’ d’impiego; -19 in 495’ giocati con Dinwiddie ma senza Zeller (pbpstats.com)!
Tutto bene, dunque? Nemmeno un po’: nonostante entrambi abbiano ampiamente esteso il proprio raggio di tiro (Zeller ha infilato quest’anno la prima tripla della sua carriera da professionista, mentre oggi vederlo concludere da oltre l’arco, dall’angolo, non stupisce più nessuno) e nonostante RHJ abbia evidenziato anche progressi come costruttore di gioco dal post, specie per i tagli in backdoor, il rischio di intasarsi l’area a vicenda, per i due lunghi, è dietro l’angolo e una difesa sufficientemente fisica e ben orchestrata, sovente, ha buon gioco nel non concedere alcun vantaggio sul perimetro, costringendo i Nets a conclusioni forzate. I primi quarti spesso in sordina sono, soprattutto, figli di queste difficoltà, così come della mediocre difesa del ferro e sui giochi a due da parte di Zeller. La prova del nove ce la fornisce un lungo di rincalzo, molto small-sized e decisamente meno efficiente rispetto alla passata stagione, anche per via del più alto (troppo?) minutaggio di cui finora ha goduto: Quincy Acy. Il quale resta, tuttavia, una potenziale minaccia dai 7,25 ed un miglior difensore, per la sua naturale capacità di switch e per senso della posizione. Con lui in campo, si ricorre più spesso al pick and pop centrale, variando l’arsenale offensivo, migliorando la circolazione e le spaziature. Non a caso, analizzando il plus/minus congiunto di ciascuna delle possibili coppie di lunghi, il migliore è di gran lunga quello della combo Acy-RHJ. Sarà un caso il fatto che Okafor sia stato ripreso più volte mentre si esercitava nel tiro dalla media e dalla lunga, soprattutto dagli angoli? Saranno capaci, lui e Jarrett Allen (finora, fotogrammi di talento ed una impressionante intesa con Levert, per il rookie), di evolvere in giocatori di movimento? Sapranno addirittura adattarsi a giocare insieme, come ventilato da Atkinson? Saranno loro, con Hollis-Jefferson, i lunghi del futuro bianconero?
La situazione, per ammissione dello stesso Marks è ancora molto fluida. Troppo, per poter azzardare conclusioni. Di certo si chiude, con dicembre, un 2017 difficile, sofferto (record dell’anno solare 20-65), ma anche pieno di suggestioni ed emozioni, gravido di speranze ed entusiasmi. Era iniziato nel peggiore dei modi, a gennaio, in piena striscia perdente, senza scelte e senza certezze. Finisce con una squadra giovane, ricca di talento, fiduciosa e con margini di crescita ancora incalcolabili. L’attesa, interminabile, sta per finire. Stay tuned…