È di pochi giorni fa la notizia che Spencer Dinwiddie ha ottenuto l’estensione del contratto con i Brooklyn Nets, garantito al minimo salariale, fino a fine stagione, con un parzialmente garantito per il prossimo anno. La cosa non ha stupito nessuno ed anzi, non pago e come a voler dimostrare ancora qualcosa, il diretto interessato, poche ore dopo, ha sfornato l’ennesimo career-high: 31 punti conditi da 8 assist contro i Raptors ed un fallo nettissimo durante il supplementare, non fischiato, che avrebbe potuto trasformare il suo clamoroso losing effort in un trionfo clutch con i liberi della staffa.
Un contratto ad 1,5 milioni di dollari per una indiscussa PG titolare, capace di trascinare la sua squadra, conducendola per mano fino a competere e, talora, vincere contro alcune delle migliori realtà della NBA (le W contro Cleveland e Minnesota portano la sua firma, così come le sfortunatissime e contestatissime L sul filo di lana contro Boston e Toronto!) è, come ha avuto modo di dire ai cronisti Dwyane Casey nel post-partita, “il miglior affare della stagione”.
Chi lo avrebbe mai detto, anche solo un anno fa? Probabilmente nessuno, ma certo All-around.net è stata tra le prime a sottolinearne ed a seguirne con dovizia di particolari i progressi, fino all’esplosione, per certi versi clamorosa, sicuramente sottostimata, dei due mesi e mezzo di stagione finora disputati.
Fotogrammi di una metamorfosi. Qualche estratto dalla rubrica “un mese con i Nets” ci aiuta a ripercorrere le fasi della trasformazione di una crisalide in farfalla:
- …Ci ha provato, Sean Marks, implementando la profondità nel ruolo di PG, sostituendo il buon Farrell con Spencer Dinwiddie, che benissimo stava facendo in D-League ma, ad oggi, ai margini delle rotazioni (dicembre 2016);
- [Parlando della crescita dei singoli] più evidente e, per certi versi, sorprendente, è quella fatta registrare proprio da Dinwiddie: il ruolo di starter lo ha responsabilizzato ed aiutato a trovare il giusto feeling con la squadra e con i tempi della NBA, a selezionare in modo apprezzabile le scelte di passaggio e di tiro, mitigando un po’ la clamorosa delusione di non aver saputo approfittare di Yogi Farrell, finito per esplodere a Dallas! Nel mese di febbraio il nostro ha fatto registrare una media di 8,4 ppg, 3,7 apg, il 47,6% dai 7,25 (!) ed il 90% dalla lunetta, con meno di una persa per gara! Dinwiddie non è stato, non è e, probabilmente, non sarà mai il go-to-guy della situazione, né l’uomo a cui affidare le redini della squadra nei momenti caldi (ma per questo ci sarà, si spera, Lin), tuttavia, per le cifre, per la sensazione di sicurezza che trasmette, ma soprattutto per la crescita palpabile, va a lui la mia “retina del mese” nel deserto di febbraio! (febbraio 2017);
- …su Dinwiddie vorrei spendere qualche parola in più. Quando arrivò […] la depressione per i risultati negativi e per l’esplosione di Yogi ai Maverics era all’apice. Il suo esordio fu traumatico […] Il prodotto finale, invece, è scritto nei numeri: migliore tra i Nets per rapporto assist/palle perse (2,8, superiore anche a Lin); secondo, tra gli esterni, solo a LeVert, come più bassa percentuale di palle perse (10,6%); tra i giocatori con più di 20′ di impiego medio, il migliore per true shooting percentage (58,1%) e defensive rating (106,3); terzo della squadra per percentuali da tre (37,6%)! Guardando le partite, la sensazione di una crescente sicurezza, fino al punto di prendersi responsabilità nei finali punto a punto, come la tripla decisiva, in piena rimonta ospite, contro Atlanta! Numeri e qualità tali da meritarsi la conferma…MIP! (aprile 2017);
- Spencer Dinwiddie, un gigante anche per continuità. Giunto, ormai, mentre scrivo, credo a dieci gare consecutive con 6 o più assist: una striscia aperta seconda, nella Lega, solo ad un certo James Harden! Visione di gioco e dei movimenti dei compagni, range di passaggio pressoché illimitato, pieno controllo del corpo e dei ritmi, scelte quasi sempre giuste. Non fa più notizia: semplicemente, leader! A lui la mia platonica retina del mese (novembre 2017);
- Dinwiddie non ha replicato le clamorose cifre del mese precedente, ma la sua costanza (ed il suo essere l’unica true point guard del roster) soprattutto nell’affidabilità (rapporto assist/palle perse vicino a 5…!), la sicurezza che ostenta, la capacità di prendere in mano la squadra ed assumersi responsabilità […] ne fanno un leader incontrastato ed ormai universalmente riconosciuto. Clamoroso il boom di voti ricevuti dai tifosi in vista dell’ASG. Freschissimo il ranking delle PG di Bleacher Report, che lo ha collocato al 14° posto in NBA, immediatamente alle spalle di un certo Isaiah Thomas! (dicembre 2017).
I fatti. Il californiano, appena ventiquattrenne, prodotto di Colorado University, scelto alla 38 da Detroit nel 2014, scambiato ai Bulls per finire parcheggiato nel limbo dell’allora D-League con i Windy City, fu firmato dai Nets a dicembre 2016 in sostituzione di Yogi Farrell, nel frattempo esploso a Dallas, tra le polemiche generali (le prime, per la gestione Marks): ci si era lasciati sfuggire una perla, facendola languire a Long Island! Purtroppo, le prime uscite di Spencer, che nel frattempo aveva scelto la canotta n.8 (coraggioso: era stata quella di Deron Williams, non proprio uno dei più amati al di qua del ponte…), non aiutavano a placare gli animi: lento, impacciato, insicuro, sembrava un pesce fuor d’acqua. Per chi assisteva alle partite, come scritto in tempo reale, un sollievo vederlo uscire dal campo.
Non è un talento naturale, Spencer: ha taglia notevole per una guardia: 6’6”, 7′ di apertura alare, sicuramente, da sempre, un buon playmaking. Non un gran tiro dall’arco, non ritmi elevati. È come un diamante grezzo: difficile da distinguere da un vetro di bottiglia. I Pistons lo scovano al draft ma non riconoscono il suo valore. Nel pre-partita con Detroit è lo stesso Stan Van Gundy, santone e factotum, ad ammettere l’errore, sia pure sempre con un filo di sufficienza e supponenza. Col senno di poi son bravi tutti… Ad Atkinson, invece, riesce l’ennesimo miracolo: the point guard wispherer produce un’altra gemma. Il lavoro in palestra da sempre frutti e l’albero pare non conoscere, finora, stagioni di sfioritura.
https://youtu.be/OqMW3s8aSTU
Qualcosa, infatti, piano piano inizia a cambiare. Vichiani ricorsi storici o eredità raccolta dallo sfortunato Jeremy Lin, fatto sta che il suo percorso da professionista sembra ricalcare quello del taiwanese: lega di sviluppo, tanta gavetta, l’incontro con Atkinson, l’occasione di esordire, l’esplosione inattesa.
Spencer, tuttavia, non scatena nulla di analogo alla Linsanity: la sua crescita è tanto spettacolare, quanto progressiva, silenziosa, sottotraccia, forse ovattata da un mondo, quello dei Nets, così geograficamente vicino ma così antropologicamente distante da quello dei Knicks. Un mondo che, per il nostro, è croce e delizia: non avesse incontrato Marks ed Atkinson sulla su strada, forse annasperebbe ancora nelle leghe minori; d’altro canto, se fosse emerso altrove, invece che a Brooklyn, ove l’atmosfera è rarefatta e rispetto e credibilità, negli ambienti che contano, sono ancora miraggi all’orizzonte, il suo boom non sarebbe solo nella mia penna, ma già sulla bocca di tutti. Ma il non avere la giusta cassa di risonanza non può cancellare la realtà: Dinwiddie si sta affermando come un signor giocatore!
Numbers don’t lie. Le cifre (tutte tratte da NBA.com) ci aiutano a sottolineare qualità e progressi di Dinwiddie, specie se raffrontate con quelle, già lusinghiere, della passata stagione. Aumentato il minutaggio (da 22 a 27′ medi, fino a 34′ nelle prime uscite di gennaio, con Levert infortunato), è riuscito a migliorare il già lusinghiero rapporto assist/palle perse, portandolo da 2,8 a 4,5, il che, da migliore della squadra, lo ha condotto ad essere il migliore della NBA! Nella Lega è dodicesimo per assist a partita ma, se riportiamo il dato sui 48′, sale addirittura al sesto posto assoluto! È il migliore dei suoi per assist percentuali e per TO ratio, sceso ulteriormente dal già discreto 10,6 all’attuale, sorprendente 7,3, nonostante giochi molto di più, gestisca molti più possessi e si assuma parecchie responsabilità (USG% da 14,4 a 21,0). Come prevedibile, stare in campo per più minuti e prendersi parecchi più tiri ha comportato un annacquamento delle sue percentuali grezze (tira con poco più del 40% dal campo, circa il 36% da tre) ma, se entriamo nel merito delle statistiche avanzate, l’efficienza con cui tira è pressoché immutata (EFG% da 50,7 a 50,2%) e l’impatto complessivo sulla partita è cresciuto non poco (offensive rating da 101,4 a 106,2; PIE da 8,7 a 12,0, secondo, tra i Nets, solo a D’Angelo Russell ed al sorprendente Hollis-Jefferson).
Personalità. Il livello di leadership raggiunto si vede nel momento del bisogno: fuori Levert, ormai divenuto la sua lussuosissima riserva, Spencer ha addirittura implementato il suo rendimento, pervenendo ad un rendimento quasi irreale nelle primissime uscite del 2018: 25,7 ppg, 7,3 apg, quasi il 50% dal campo!
Il ragazzo, ormai, parla da leader: si lamenta (a ragione) dello scarso rispetto da parte della Lega e degli arbitri, davanti ai microfoni, prima, addirittura guardando nella telecamera di bordo campo, in diretta televisiva, dopo aver fallito il buzzer contro Toronto, poi. Inizia a far parlare di sé, ma lo fa sempre in prima persona plurale, nel nome e nell’interesse di una squadra di cui si sente il cuore pulsante e che sente il dovere di condurre a qualche vittoria in più, per guadagnare a sé ed alla franchigia il rispetto dovuto.
Mercato…? Oggi come oggi, probabilmente, Dinwiddie detiene il miglior rapporto qualità/prezzo che il mercato NBA possa offrire. Qualcuno (parecchi, a dire il vero) ventila l’ipotesi che sia fin troppo alto, perché un gambler come Sean Marks si lasci sfuggire l’occasione di piazzarlo all’asta per cavarne la migliore offerta possibile. Dico la mia: a 24 anni è Dinwiddie, la migliore offerta possibile! Sarebbe in grado, il GM, di scambiarlo per riceverne un ritorno migliore? Che una franchigia in odore di lottery sia disposta a privarsi di una prima scelta, in vista di un draft che gli esperti annunciano sugoso almeno quanto quello passato, mi pare improbabile. Più plausibile che SD sia appetito da una contender che voglia rafforzare la second unit in vista della volata playoff, ma il cambio gioverebbe alla ricostruzione dei Nets? Credo sia più ragionevole valutare almeno la chimica con il rientrante Russell, prima di privarsi di un giovane leader già perfettamente calato nel sistema. Marks è una sfinge, i suoi piani sono insondabili e da lui possiamo aspettarci di tutto. E nessuno è perfetto, la strada verso la ricostruzione sarà ancora lunga e lastricata di piccoli sbagli…Vale davvero la pena di stare alla finestra e vedere che succede.
L’evoluzione del gioco. È parecchio singolare il fatto che un giocatore dalle caratteristiche di SD si sia così ben integrato in un sistema tutto ritmo come quello di Atkinson. È molto più sostenibile la tesi secondo cui è la squadra ad essersi adattata al gioco di Spencer, che le detta i suoi tempi! Ad ottobre il Pace della PG designata, Jeremy Lin, era il più alto dell’intero parco giocatori NBA (119!). Dopo il suo infortunio, la palla è finita in mano a Russell, il secondo della Lega per Pace (111). Sottoposto anche quest’ultimo a chirurgia del ginocchio, è il turno di una PG, Dinwiddie, il cui Pace oscilla sistematicamente intorno ai 100!
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: ritmi cadenzati, ricerca paziente del compagno libero sul perimetro, costruzione dei giochi a partire dal pick and roll, che SD predilige laterale per agevolare la creazione di mismatch, che lui ha la tendenza a sfruttare come si deve approfittando di un primo passo decisamente rapido e capace di improvvise accelerazioni. Altro movimento tipico di Spencer è quello dello stepback sull’arco, per prevenire la chiusura del difensore a canestro o approfittare del vantaggio creatogli dai blocchi o dai cambi difensivi, ma la sua conclusione più efficiente (costantemente sopra il 50%) è il drive al ferro, grazie alla lunghezza delle leve. Ancora: tipicamente, quando lui esegue il P&R laterale, il lungo non bloccante scivola in angolo e la guardia fronte a canestro, entrambi sul lato debole. In questo modo, c’è chi può raccogliere lo scarico dopo penetrazione o chi può lucrare dei rapidi ribaltamenti di fronte di cui il nostro è capace, grazie all’ottima visione di gioco di cui sopra.
Non è infrequente assistere a rimessa dal fondo di Acy o Rondae con palla servitagli rasoterra, in modo da raccoglierla appena prima del centrocampo: in questo modo ha la possibilità di avere qualche secondo in più nella metà campo avversaria per studiare la posizione dei compagni, permettendo loro di tagliare sui blocchi ciechi o di trovare le giuste spaziature. Non a caso, la percentuale al tiro di Levert e Harris, ma anche Acy e Crabbe (sia pure a corrente alternata) è lievitata quasi istantaneamente, quando Spencer è assurto a play titolare.
Dinwiddie ha, inoltre, costruito un credibile tiro dall’arco (è netta la differenza tra lo scorso anno e questa stagione, soprattutto nelle scelte di tiro e nel posizionamento dei piedi) tutto in palestra. A Chicago, nelle poche uscite in casacca rossa, aveva tirato con circa il 17% dai 7,25. Ho già riportato sopra le cifre dei momenti migliori già nella scorsa stagione. Quest’anno si attesta piuttosto stabilmente intorno ad un più che soddisfacente 36-37%, con un dato scorporato di triple sul catch & shoot pari ad un lusinghiero 46%! Il che lascia intravedere l’opportunità di creare una buona chimica con Russell, decisamente più abile, invece, nel costruirsi il tiro dal palleggio e amante del possesso palla.
È inoltre cresciuto tantissimo nelle cosiddette triple “ignoranti”, ovvero da oltre otto metri o forzate contro la contestazione del difensore, in particolare nei jumper buzzer.
Tutto bene, dunque? Decisamente no: il ragazzo deve crescere, e tanto, ancora, nei cambi di ritmo, laddove Atkinson deve ricorrere sovente alla second unit (in verità con lusinghieri risultati) per assistere ad un differente uso del pick and roll o ad accelerazioni dei tempi di sviluppo dell’azione offensiva, se la gara lo richiede. In difesa, inoltre, spesso Dinwiddie mostra il fianco: ha il merito di cercare costantemente di passare sui blocchi, ma sovente la cosa non gli riesce, generando un vantaggio per il palleggiatore avversario che, spesso, è fatale. Non infrequentemente, soprattutto nei finali, viene infatti dirottato in marcatura off the ball, con Hollis-Jefferson in missione sul portatore. Eppure le caratteristiche fisiche aprono scenari decisamente interessanti per ulteriori progressi difensivi: la lunghezza delle braccia ne fa un naturale rim protector sugli scivolamenti ed in post (spesso, infatti, aiuta in modo più che decente) ed un potenziale intercettatore sui passaggi, laddove, invece, è ancora piuttosto deficitario nei recuperi. Cionondimeno, è migliorato nel defensive rating (105,3), il che lascia ben sperare per ulteriori progressi quando il rientro di Dlo gli consentirà di risparmiare energia e concentrazione per la fase difensiva.
In attacco, a mio parere, deve sviluppare la selezione di tiro (avrebbe tutte le potenzialità per sfruttare di più e meglio il mid range) e nella scelta delle triple da prendere: potrebbe forzare meno e tirare, invece, in testa al suo marcatore, di solito più basso di lui, ma ciò presuppone un ulteriore lavoro nella costruzione del tiro per sé (ancora sotto il 31%). Trovate qui le shot chart di stagione.
Può crescere ancora e colmare le sue lacune? L’età e l’etica del lavoro, la sicurezza crescente nei propri mezzi, l’ambiente giusto ed il coaching staff ideale lascerebbero presagire una risposta affermativa. Vedremo. Certo è che ha dimostrato attributi da condottiero. Qualcuno dice anche troppo: lo accusano di non essere clutch (eppure è lui l’artefice delle recenti rimonte, più o meno fortunate), di non realizzare il canestro decisivo nel momento decisivo nei tantissimi finali punto a punto, di non prendere le giuste decisioni nelle fasi nevralgiche delle partite (emblematico il supplementare con i Raptors).
Opinione personale: detto che è più facile prendere le giuste decisioni quando in campo c’è la gente giusta e quando il coach disegna gli schemi giusti (cose che, a volte, purtroppo, sono mancate, data l’ostinazione con cui si stanno chiudendo le partite in modalità smalball)… Se Spencer Dinwiddie, oltre ad essere un trascinatore, oltre ad inanellare record, oltre ad essere divenuto, da anonimo role player in G-League, leader riconosciuto di una franchigia e miglior gestore della palla dell’intero panorama NBA, fosse anche, già da ora, il go-to-guy che infila regolarmente il canestro della vittoria, sarebbe già degno dell’All Star Game e del titolo di Most Improved Player of the Year… Oppure no?