Siamo nel bel mezzo delle semifinali di Conference e quasi niente è ancora definito, a conferma del fatto che stiamo assistendo ad una delle post-season più intriganti ed imprevedibili che io ricordi (ne parlavamo nell’ultimo numero di #insideout).
Nel momento in cui scrivo questa riflessione un po’ fantascientifica e, probabilmente, a breve, distopica, la situazione (riassumo brevemente) vede una serie pesantemente compromessa per i Celtics che, salvo epiche rimonte, sembrano destinati all’ennesima, mezza delusione. Dibattito apertissimo su chi sia il colpevole, posto (e noi non lo crediamo) che ce ne sia uno solo. Probabilmente la squadra non è perfettamente assemblata: forse Irving non è proprio un primo violino ma…un primo e mezzo, sicuramente ha dimostrato di non esserlo Tatum, Horford sta giocando un po’ a corrente alterna (ma è spesso in missione su GA34, una roba da sfiancare chiunque), gli altri sono gregari. Stevens non ha saputo dare chimica, gioco offensivo e continuità al suo roster, forse Ainge si è fatto prendere la mano e gli ha messo a disposizione una squadra pensata male…più probabilmente tutto questo e tanto altro ancora, ma stiamo parlando di affrontare i primi della classe, non gli ultimi arrivati, sia detto!
Le altre sono ancora tutte in ballo e tutte, fatta salva la sfida più attesa, hanno visto il fattore campo saltare più di una volta. E non finisce qui, e tanti saranno rimpianti e “what if”, polemiche e perplessità, per le franchigie che torneranno a casa alla fine di questo turno: se Curry avesse fatto il Curry…se questa o quella squadra fosse stata al completo…se Embiid fosse stato al top o Simmons facesse più gioco…se Nurkic non si fosse fatto male…
Tutto vero e tutto giusto, ma proviamo un attimo ad esplorare uno scenario, solo uno dei tanti ancora possibili, forse non il più probabile, ma neppure così lontano dalla realtà, proviamo a prenderci un po’ meno sul serio e facciamo un gioco: metti che le Finali di Conference saranno Bucks-Raptors e Nuggets-Rockets!
A ben vedere, l’unica sorpresa (hai detto niente…) sarà l’uscita dei campioni, ma per mano dell’unica squadra accreditata seriamente, fin da inizio stagione, di poterli impensierire. La sorte ha voluto che si ritrovassero di nuovo in semifinale e che, crudelmente, una dovesse andar fuori prima del tempo. Passano i Rockets, ma, anche qui, quanti what if! Ci ricorderemo, ma solo per qualche giorno, che più volte l’arbitraggio non è parso all’altezza; che, tolto KD (e io aggiungerei anche Green), l’ombra del dubbio (e forse più d’uno) pende sulle prestazioni delle altre star, così come sull’apporto dalla panchina, sulla penalizzazione di aver perso DMC… Lo terremo presente ma, intanto, l’era degli invincibili finisce e Golden State si sfascia: KD, ingiustamente accusato di aver fatto la corte ai più forti per accodarsi e vincere l’anello, cerca altrove di consacrarsi come vincente, Klay cede alle sirene losangeline e Dio solo sa cos’altro!
Stessa sorte per i Celtics, che perdono Irving e si ritrovano nel limbo, troppo forti per pensare ad un rebuilding, troppo scarsi per puntare a vincere subito e Ainge chiamato ancora a fare il miracolo, abbracciando lo Spurs-style (continuare a vincere ricostruendo). E un destino ancor peggiore per Philadelphia, che, dopo “the process”, ha puntato tutto su questa stagione e si ritrova con due colt calibro 45, come Butler e Harris, con le valigie pronte, un Simmons un po’ nel guado tra promessa mancata e superstar in fieri e un Embiid dal talento straripante ma un tantino injury-prone.
Paradossalmente, i più delusi per l’occasione sfumata, ma anche i meno compromessi dall’eliminazione, sono proprio quei Blazers con il più grosso what if della stagione: già, perché, se ci fosse stato anche Nurkic, la musica sarebbe stata ben differente anche contro le pepite del Colorado, ma le premesse per crescere ancora, quando il ragazzone bosniaco tornerà (tutti tifiamo per lui!), restano lì intatte, specie alla luce del salto di qualità compiuto da Dame.
Detto delle perdenti, veniamo a noi.
Scenario sospeso tra apocalisse e paradiso, quello che si prospetta nelle due finali: Antetokounmpo contro Leonard e Jokic contro Harden suonano come degli spareggi tra i candidati MVP della stagione!
E poi: Budenholzer contro il rookie Nurse, Malone contro D’Antoni: riuscite ad immaginare un quartetto di innovatori più rivoluzionario, un punto di rottura più netto, un’evoluzione del gioco più esplosiva?
E, soprattutto, riuscite ad individuare una strafavorita all’anello? Certo, per blasone, ambizioni, costruzione della squadra, tutti direbbero Rockets, non fosse altro che per aver saputo porre fine alla dinastia fin qui regnante. Ma come affrontare il mismatch Jokic? Basterà il pick and roll Harden-Capela, o sarà ancora necessario attingere dalle risorse inaspettate e sperare nel Tucker per fermare il Joker? D’altro canto, l’attacco texano sembra fatto apposta per punire i raddoppi di Malone…
Bucks contro Raptors è, invece, un’altra clamorosa battaglia tra difese, forse le migliori viste all’opera finora, che il 34 in verde e il 2 in rosso metteranno duramente alla prova. La difesa “di sistema”, con l’ormai tradizionale “fisarmonica” di coach Bud, capace di collassare nel pitturato, in difesa, e di sbocciare come una rosa, intorno ad esso, in attacco, contro, forse, la squadra con i più spiccati difensori individuali, con Danny Green e Kawhi Leonard che potrebbero imbavagliare chiunque, per non parlare di Siakam e Ibaka, tanto per citarne due, ma sempre con il gigantesco punto interrogativo se esista qualcuno o qualcosa in grado di arrestare un treno in corsa come the Greek Freak…
E tutto questo sarà solo un gustoso antipasto!
Tra attacchi five out, centri che giocano come playmaker, big men che tirano dall’arco come guardie veterane, partite in cui i tiri da tre punti tentati superano di gran lunga quelli dall’area, e proprio mentre fa capolino il dibattito sul tiro da 4 punti, i tradizionalisti rischieranno il coccolone e i puristi cambieranno canale.
E, mai come questa volta, non sapranno cosa si saranno persi: di essere, cioè, testimoni di un salto generazionale, oltre che delle Finals di gran lunga più affascinanti che la (mia) storia ricordi, nella repubblica sempre più democratica della NBA di quest’anno, in attesa che i pretendenti al trono serrino le fila dei rispettivi eserciti per dar vita, chissà, a nuove dinastie…
Verosimile? Scommettiamo? Stay tuned!